Condominio

Non rientra nell’uso più intenso del bene comune l’apertura di un varco nel muro perimetrale

Deve ritenersi illegittima l’imposizione di una servitù ad esclusivo beneficio di un condomino

di Maurizio De Giorgi

La recente ordinanza resa dal Tribunale di Matera del 28 aprile 2022 pone l'attenzione dell'interprete sulla questione dell'uso che legittimamente può farsi delle parti comuni di un edificio condominiale quanto, in particolare, alla possibilità di aprire un varco nel muro perimetrale.

Le parti comuni dell’edificio
Sul punto è opportuno, preliminarmente, osservare come secondo la disposizione dell'articolo 1117 Codice civile sono da ritenersi di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, tutte le parti di esso necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge la costruzione, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, il tetto, il vano scala, i portoni di ingresso, gli anditi, il portico, le facciate, il sottotetto destinato per le caratteristiche strutturali e funzionali all'uso comune, le canne fumarie, la centrale termica e gli impianti idrici/fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche, nonché l'area esterna cortile-orto-giardino (che ha natura condominiale, salvo l'esistenza di una proprietà esclusiva risultante da titolo contrario).

La richiamata disposizione codicistica contiene un'elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa, delle parti comuni dell'edificio, salvo diversa volontà espressa nel titolo, ed esprime la relazione di accessorietà tra le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, fondamento tecnico dell'attribuzione del diritto di condominio. La situazione di condominio, regolata dagli articoli 1117 e seguenti Codice civile, si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto.

E il titolo che ne accerti al contrario la proprietà esclusiva
Originatasi la situazione di condominio edilizio, costituita da uno o più edifici ricompresi in una più ampia organizzazione, e connotata dall’esistenza di talune cose in rapporto di accessorietà con le unità immobiliari di proprietà esclusiva, trova dunque applicazione la relativa disciplina, e si intende, soprattutto, operante la presunzione legale ex articolo 1117 di comunione pro indiviso di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che (come detto) dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice o ad alcuno dei condòmini la proprietà di dette parti (Cassazione 27363/2018; Cassazione 3852/2020; Cassazione 5335/2017).

L'articolo 1117 Codice civile attribuisce, invero, ai titolari delle singole unità immobiliari dell'edificio la comproprietà di beni, impianti e servizi - indicati espressamente o per relazione - in estrinsecazione del principio secondo il quale l'accessorio segue il principale, per propagazione ad essi dell'effetto traslativo delle proprietà esclusive, in quanto necessari all'uso comune, ovvero destinati ad esso, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo. Dunque, la norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condòmini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali (Cassazione 24189/2021).

Illegittima l’apertura del varco
Orbene in questo contesto interpretativo si pone la pronuncia in esame, resa dal Tribunale di Matera, che – in punto di diritto – recepisce l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale posta in essere da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio.Ciò in quanto una tale utilizzazione del muro comporta la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condòmini (Cassazione 35955/2021; Cassazione 4501/2015; Cassazione 3035/2009; Cassazione 9036/2006; Cassazione 1708/1998).

Né vale ad incidere su tale principio il rilievo secondo cui la condominialità del muro perimetrale comune legittima il singolo condomino ad apportare ad esso tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condòmini, in quanto la presunzione ex articolo 1117 , di comunione “pro indiviso”, opera per quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, siano - nel momento costitutivo del condominio - destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sulla base di una relazione di accessorietà tra parti comuni ed unità immobiliari.

L’uso più intenso del bene comune
Nel condominio, le parti elencate o richiamate dall’articolo 1117 , non offrono, invero, alcuna utilità autonoma e compiuta, in quanto la loro utilizzazione oggettiva e il loro godimento soggettivo sono unicamente strumentali all’utilizzazione o al godimento degli appartamenti compresi nel medesimo complesso edilizio. Se tuttavia un condomino fa uso di un bene condominiale a fini esclusivi di miglior godimento di altro immobile di sua proprietà individuale che non sia compreso nel condominio, è evidente l’alterazione funzionale che viene così impressa al vincolo destinatorio della parte comune.

Secondo la giurisprudenza la valutazione dei presupposti di operatività della presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’articolo 1117 Codice civile, va, del resto, operata con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale eseguito successivamente (Cassazione 17022/2019).

Non lecita l’imposizione di una servitù a proprio vantaggio
In conclusione ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, sicché il condomino che si serve del muro perimetrale nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l’articolo 1117, lo fa nell’esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitù; se però il muro perimetrale venga sfruttato, aprendo un nuovo passaggio, al fine di ricavarne utilità per un immobile estraneo all’originario condominio, non si determina un ampliamento per accessione del complesso condominiale, quanto, appunto, l'imposizione di una servitù illegittima sul bene comune.

Va poi negata ogni valenza giuridica all'ipotesi della costituzione di un vincolo pertinenziale, ai sensi ed agli effetti di cui agli articoli 817 ed 818 Codice civile. Invero un tale vincolo postula che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità della cosa accessoria, sì da poterla validamente destinare, in modo durevole, al servizio od all’ornamento dell’altra. Pertanto, il muro perimetrale di un edificio condominiale, che sia oggetto di proprietà comune, non può essere oggetto della instaurazione di una relazion e di pertinenza con unità immobiliari di proprietà individuale esterne al condominio per atto proveniente solo dal titolare di dette porzioni (Cassazione 5386/1977).

Conclusioni
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’articolo 1102 Codice civile, al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità.Nel caso all'esame del Tribunale di Matera si chiede, infine, con domanda riconvenzionale, l'accertamento dell'acquisto «per usucapione della servitù di passaggio controversa». Sul merito di tale domanda il giudice non si pronuncia per essere stata la stessa formulata tardivamente (così incorrendo l'interessato nelle preclusioni ex articoli 166 e 702 bis Codice procedura civile). Tale avvenuta preclusione ha comportato la conseguenza pratica per cui, a circa trent'anni di distanza, un'abitazione tornasse ad essere divisa da un muro.

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