Condominio

Nullità della delibera assembleare: si riducono a tre le ipotesi dopo la pronuncia della Cassazione

Quest’ultima nella sentenza 9839/2021 ha limitato i casi possibili a tutela della stabilità della gestione condominiale

di Rosario Dolce

La Cassazione svolge una funzione di nomofilattica, ovvero di protezione della norma. Alla giurisprudenza di legittimità, pertanto, va imputato il compito di «garantire l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale». Il controllo delle posizioni interpretative obbedisce all'elementare esigenza di garantire la certezza del diritto. Non sarà un caso che, in tema di diritto condominiale, tale funzione sia esercitata dagli ermellini con costanza annuale, attraverso il ricorso alle sezioni Unite.

Le precedenti statuizioni
Ora, con la sentenza 9839 del 13 aprile 2021, i giudici di legittimità intervengono per demarcare, in modo ancora più netto di quanto non lo sia stato in passato, la distinzione tra delibere nulle e annullabili.Dapprima, la sentenza 4865 delle sezioni Unite del 2005 - pietra miliare dei principi in disamina – aveva precisato che devono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea dei condòmini:
-prive degli elementi essenziali;
-con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume);
-con oggetto che non rientra nelle competenze dell'assemblea;
-che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condòmini.

La stessa sentenza, al pari, aveva stabilito che devono qualificarsi come annullabili le delibere:
-con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea;
-quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale;
-quelle affette da vizi formali, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea;
-quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione;
-quelle che violano le norme richiedenti maggioranze qualificate in ragione dell'oggetto.

Tale elencazione, tuttavia, non si è rivelata adeguata a coprire tutto lo scindibile propinato dalla pratica quotidiana, specie con riferimento alle deliberazioni assembleari aventi ad oggetto la ripartizione delle spese afferenti alla gestione delle cose e dei servizi comuni ai condòmini, in violazione del principio di proporzionalità di cui all'articolo 1123 e seguenti Codice civile. A tal proposito: «… il fatto che la categoria della annullabilità è stata elevata dal legislatore (della riforma del 2013) a «regola generale» delle delibere assembleari viziate, è possibile cogliere l'inadeguatezza del criterio distintivo tra nullità e annullabilità, fondato sulla contrapposizione tra vizi di sostanza e vizi di forma».

La limitazione dei casi di nullità
Ora, seppure le sezioni Unite, con la pronuncia in disamina hanno inteso ribadire (esplicitandolo) i principi affermati nel 2005, con la stessa sembrano essere intervenute per precisare e marginalizzare i casi tipici della nullità, confinandoli quasi ad un “numero chiuso”, pure definito come residuale «nel rispetto alla generale categoria della annullabilità, attenendo essa a quei vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel mondo giuridico».

In particolare, i casi di nullità individuati dalla nuova pronuncia di legittimità sono appena tre, per come appresso segnatamente elencati:
1)«mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali» (volontà della maggioranza; oggetto ; causa ; forma ) tale da determinare la deficienza strutturale della deliberazione : è il caso, ad esempio, della deliberazione adottata senza la votazione dell'assemblea o della deliberazione priva di oggetto, ossia mancante di una reale decisione ovvero con un oggetto non determinato o non determinabile; o della deliberazione priva di causa, carente cioè di una ragione pratica giustificativa della stessa che sia meritevole di tutela giuridica; o della deliberazione non risultante dal verbale dell'assemblea , sprovvista perciò della necessaria forma scritta» ;
2)«Impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico», da intendersi riferito al contenuto della deliberazione. L'impossibilità materiale dell'oggetto della deliberazione va valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato; l'impossibilità giuridica dell'oggetto, invece, va valutata in relazione alle attribuzioni dell'assemblea [difetto assoluto di attribuzioni] (si pensi, ad esempio, quanto all'impossibilità giuridica – per come riportato in sentenza - ad una deliberazione che incide sulla modifica di una proprietà privata);
3)«Illeceità». Si tratta di quei casi in cui la deliberazione assembleare, pur essendo stata adottata nell'ambito delle attribuzioni dell'assemblea, risulti avere un contenuto illecito (articolo 1343 Codice civile ), nel senso che quanto deciso risulta contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (si pensi, ad esempio – per come riportato in sentenza, ad una deliberazione che introduce discriminazioni di sesso o di razza tra i condòmini nell'uso delle cose comuni).

La Cassazione “tipicizza” le superiori fattispecie alla fine del proprio ragionamento, allorquando conclude l'argomentazione offerta affermando che: «Al di fuori di tale ipotesi ( cioè quelle sopra elencate) deve ritenersi che ogni violazione di legge determina la mera annullabilità della deliberazione che può essere fatta valere solo nei modi e nei tempi di cui all'articolo 1137 Codice civile».

Considerazioni conclusive
La ratio di tale impostazione – siccome ritenuta espressione della citata funzione “nomofilattica” - si può ben apprezzare, infine, nel seguente capoverso: «La preoccupazione del legislatore di assicurare la certezza dei rapporti giudici di una entità così complessa, come il condominio degli edifici, spiega perché la relativa disciplina normativa sia improntata ad un chiaro favore per la stabilità delle deliberazioni dell'assemblea dei condòmini, che sono efficaci ed esecutive finché non vengano rimosse dal giudice (articolo 1137, terzo comma, Codice civile), e perché tale disciplina non contempli alcuna ipotesi di nullità delle deliberazioni dell'assemblea condominiale, che renderebbe le medesime esposte in perpetuo all'azione di nullità, proponibile senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse. Questa mancata previsione di fattispecie di nullità delle deliberazioni dell'assemblea condominiale è particolarmente significativa, dal momento che la disciplina delle società (le quali pure sono rette dal principio maggioritario) prevede limitate peculiari ipotesi di nullità delle deliberazioni adottate dall'assemblea dei soci (articolo 2379 Codice civile) […]».

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