Condominio

Il sottotetto può essere anche solo parzialmente utilizzato in comune

Per questo la Cassazione ha ritenuto legittimo che un condomino ne occupasse una porzione, adibita a locale tecnico

di Alessandro Maria Colombo

Una botola d'accesso dal vano scala comune e il transito di un cavo dell'antenna televisiva condominiale non sono sufficienti a dimostrare la natura condominiale del sottotetto. Ad affermarlo è la corte di Cassazione, con ordinanza 9383 del 21 maggio 2020 .

I fatti
La Corte d'Appello di Venezia aveva confermato la condanna di un condomino al ripristino di una porzione del sottotetto, corrispondente ad una frazione superficiaria dell'appartamento all'ultimo piano di proprietà dello stesso condomino, in quanto illegittimamente adibita da questo a locale tecnico, reso accessibile direttamente dall'unità di proprietà esclusiva e nel quale erano stati collocati una caldaia, il collettore dell'impianto di riscaldamento ed il motore del condizionatore.

Il condomino, quindi, si rivolgeva ai giudici di legittimità rappresentando, anzitutto, che si trattava di un sottotetto “a nido d'ape”, praticabile esclusivamente attraverso varchi realizzati in epoca successiva alla costruzione dell'edificio, ed inoltre che la sola funzione svolta dal vano era sostanzialmente quella di isolare l'unità abitativa, essendo trascurabile la presenza dell'impianto di antenna comune, non essendo il vano utilizzabile dagli altri condomini quanto meno per la porzione oggetto di causa.

La natura del sottotetto
Affidandosi ad approdi consolidati, la Cassazione ha dapprima ricordato che «la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune»; viceversa, il sottotetto può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano «quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo».

Applicando questi principi alla concreta fattispecie, la Suprema corte ha ritenuto gli accertamenti svolti nei precedenti gradi di giudizio insufficienti per ritenere che la modesta frazione di sottotetto, di circa quindici metri quadri, fosse destinata all'uso comune; il fatto, poi, che il sottotetto svolga funzioni isolanti per tutto l'edificio «non dimostra affatto lo specifico uso condominiale, ma, anzi, al contrario, conferma che esso riveste prevalente funzione di coibentazione dei singoli appartamenti posti all'ultimo piano».

La destinazione a servizi comuni
L'annullamento della sentenza d'appello, con rinvio ad altra sezione della Corte veneta, è quindi motivato dalla mancanza di un «compiuto accertamento in fatto sulla base del quale potersi affermare che le originarie caratteristiche strutturali dell'edificio fossero tali da doversi concludere per la destinazione dell'intero sottotetto (quindi, anche della frazione sovrastante l'appartamento del ricorrente) a servizi comuni», essendo comunque necessario, dopo che ne sia stata acclarata l'originaria destinazione all'uso comune, stabilire se essa riguardi tutta la superficie del sottotetto o solo una parte di esso «e, comunque, se la stessa [destinazione ad uso comune] sia tale da assumere carattere di oggettiva prevalenza sulla tipica funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall'umidità l'appartamento dell'ultimo piano».

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