Condominio

L’uso esclusivo delle cantine condominiali può essere deciso dall’assemblea

E questo anche quando viene negato un vincolo di pertinenzialità come nel caso in esame dove erano state scambiate due cantine tra condomini di comune accordo

di Maurizio Tarantino

L'assemblea può attribuire l'uso esclusivo delle cantine condominiali ai condomini in virtù dell'articolo 1102 Codice civile. Tuttavia, in caso di accertamento della natura pertinenziale della cantina rispetto all'unità abitativa, la pronuncia che nega la sussistenza di questo vincolo non può essere motivo di rigetto della domanda. Difatti, il giudice ha il potere di qualificare esattamente l'azione proposta, con il solo limite di non attribuire un bene diverso richiesto e di non modificare i relativi fatti costitutivi. Questo è il principio espresso dall'ordinanza della Cassazione Sezione VI-II Civile, 20 febbraio 2020, numero 4500.

La fattispecie in esame
Due nuovi condomini avevano acquistato da Tizio un immobile in condominio. L'assemblea, con delibera del 1998, aveva assegnato a ciascun condomino le singole cantine condominiali in uso esclusivo; dunque, sebbene all'unità immobiliare dei nuovi acquirenti era stata assegnata una cantina, tuttavia, questa porzione risultava illegittimamente occupata da Caio. Pertanto, gli acquirenti avevano chiesto al giudice la condanna del Condominio, di Tizio e Caio al rilascio del bene; quest'ultimi, sostenevano di aver scambiato, di comune accordo, le cantine assegnate a ciascuna unità immobiliare, così derogando a quanto disposto dall'assemblea.

In primo grado, il giudice ordinava il rilascio. Successivamente, nel giudizio di secondo grado, la Corte territoriale riformava la pronuncia sostenendo che la domanda introduttiva si basava sulla natura pertinenziale della cantina rispetto all'unità abitativa e, che, erroneamente il Tribunale aveva accolto una domanda fondata su fatti diversi da quelli allegati, ossia l'articolo 1102 Codice civile e la delibera di assegnazione dei beni. Del resto, a parere della Corte d'Appello, la prima decisione, negando un rapporto di pertinenzialità tra il singolo appartamento e la cantina, aveva definito l'intero giudizio, non dovendosi pronunciare ulteriormente nel merito.

Le contestazioni
Contro il provvedimento in esame, gli originari attori avevano proposto ricorso in Cassazione eccependo che il giudice di primo grado non era andato oltre il richiesto, poiché il richiamo all'articolo 1102 Codice civile giusticava solo il potere assembleare di assegnazione delle cantine ai singoli condomini, mentre l'ordine di rilascio era stata emesso in base alla ritenuta inopponibilità dell'accordo intervenuto tra i convenuti (con cui erano state scambiate le distinte cantine attribuite in uso esclusivo), ritenendo necessaria, per questi effetti, una nuova delibera assembleare; sicché, la sentenza non aveva attribuito un bene diverso da quello preteso, né si fondava su fatti diversi da quelli allegati, essendosi limitata ad operare - del tutto legittimamente - una diversa qualificazione giuridica della pretesa.

Il diritto esclusivo di uso sulle singole cantine
A seguito dell'istruttoria di causa era emerso che la domanda di rilascio era stata proposta dai ricorrenti invocando, specificamente, gli effetti della delibera condominiale del 1988, costitutiva di un diritto esclusivo di uso sulle singole cantine, sostenendo che, per effetto di questa delibera, queste porzioni costituivano una pertinenza delle unità immobiliari. La sussistenza di un vincolo pertinenziale era quindi dedotta, in stretta correlazione con il contenuto della delibera, a sua volta indicata in domanda come titolo in base al quale i ricorrenti ritenevano di aver diritto all'assegnazione della cantina.

I poteri dell'assemblea
A parere dei giudici di legittimità, il Tribunale, correttamente, si era - quindi - limitato a riqualificare le richieste dei ricorrenti, chiarendo che il potere dell'assemblea di attribuire l'uso esclusivo di parte dei beni comuni rientrava nell'ambito delle competenze collegiali anche alla luce del disposto dell'articolo 1102 Codice civile (Cassazione n. 24301/2017; Cassazione n. 12310/2011). Di conseguenza, l'aver negato la sussistenza di un vincolo pertinenziale non costituiva, dunque, un rigetto della domanda, ma era funzionale ad un più puntuale inquadramento della situazione sostanziale dedotta in lite, del tutto coerentemente con i poteri del giudice di qualificare esattamente l'azione proposta, con il solo limite di non attribuire un bene diverso richiesto e di non modificare i relativi fatti costitutivi (Cassazione n. 8048/2019; Cassazione n. 9002/2018). Per i motivi esposti, la pronuncia non aveva - dunque - definito l'unica domanda proposta dai ricorrenti e, nel disporre il rilascio non avendo posto a fondamento della decisione fatti diversi da quelli allegati. In conclusione, il ricorso è stato accolto; per l'effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio.

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