Condominio

L’uso esclusivo di parte comune si può costituire e non è limitato a trenta anni

di Edoardo Valentino

Le parti comuni possono essere assegnate in uso esclusivo: il “titolo” prevale sul Codice civile. Così la Cassazione (sentenza 24301, depositata ieri) ha chiarito il diritto di un condòmino di continuare a usare, anche dopo trent’anni, una parte del cortile.
La vicenda prende le mosse da un atto di citazione di un condominio che chiamava in giudizio una società proprietaria di un immobile nello stabile e con diritto di uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale: la richiesta al Tribunale era di accertare l'estinzione dell'uso in quanto tale diritto non avrebbe potuto essere ceduto a terzi e che, in ogni caso, si era estinto essendo trascorsi più di trent'anni dalla sua costituzione.
Il Tribunale, all'esito del processo, rigettava la domanda del condominio. E così la Corte d'Appello.
Al condominio attore, vista la duplice soccombenza, non rimaneva che agire in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza di appello: la motivazione del ricorso era che il diritto di uso della società resistente si era estinto e, in ogni caso, non avrebbe potuto essere ceduto dalla sua dante causa in quanto diritto intrasmissibile. Secondo i ricorrenti, infatti, i giudici di merito avevano errato a non considerare il diritto di uso oggetto della causa ai sensi dell'articolo 1021 del Codice Civile, ritenendolo a torto un'altra tipologia di diritto: anzi, si sarebbe potuto applicare alla disciplina l'articolo 1024 C.c., che ne prevedeva l'incedibilità, o il combinato disposto degli articoli 1026 e 979 C.c., che prevedevano l'estinzione del diritto di uso (in quanto parificato all'usufrutto) dopo trent'anni dalla cessione ad una persona giuridica.
La Cassazione, tuttavia, rigettava integralmente la domanda del condominio.
Nella decisione numero 24301 del 16 ottobre 2017 , difatti, la Cassazione afferma che il diritto di uso in oggetto non sia quello di cui all'articolo 1021 del Codice Civile.
Secondo la Corte, in materia di condominio, è necessario partire dall'articolo 1117 del Codice che identifica alcune parti come comuni solo se “non risulta il contrario dal titolo”.
La stessa legge, quindi, prevede che alcune parti che per struttura e funzioni sarebbero assoggettate al regime delle parti comuni possano essere diversamente assegnate e che ciò possa desumersi dal titolo.
Nel caso in questione la resistente aveva acquistato la propria unità immobiliare da una società la quale, a sua volta, aveva comprato dal costruttore dell'immobile.
Al momento della alienazione delle unità immobiliari da parte del costruttore, quindi, vi era stata la costituzione del condominio e con essa la concessione di un diritto di uso a favore degli immobili ora di proprietà della resistente.
Riconosce la Cassazione che al momento della costituzione del condominio «è lasciata all'autonomia delle parti la possibilità di sottrarre alla presunzione di comunione almeno alcune delle parti comuni» ed è quindi possibile che in detta sede ci si accordi per la destinazione di una parte all'uso esclusivo di una o più proprietà.
Tale diritto, quindi, esiste come estensione del diritto di proprietà di cui all'articolo 832 del Codice civile, non è quello reale descritto all'articolo 1021, non si estingue dopo trent'anni e può essere ceduto ai successivi proprietari dell'immobile.
Alla luce di tale interpretazione, quindi, la Cassazione rigettava in toto le domande proposte dal condominio, condannando lo stesso anche al pagamento delle spese processuali.

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