Lavori & Tecnologie

L'arbitrato e il ruolo dei professionisti tecnici

di Sergio Clarelli

Fonte: Consulente immobiliare

Spesso, nell'ambito di procedimenti arbitrali, occorre affrontare tematiche squisitamente tecniche inerenti, per esempio, a beni immobili, ad appalti di lavori edili/stradali/impiantistici, pubblici o privati e così via, tra l'altro e di frequente anche con risvolti estimativi. Per tali tipologie di arbitrati, i professionisti tecnici possono svolgere un ruolo centrale, consapevole e quindi determinante, ovviamente se sono in possesso non solo dei contenuti tecnici specifici, ma anche di una formazione ad hoc, relativa al procedimento arbitrale con piena conoscenza delle norme specifiche del codice di procedura civile e di quelle procedurali.

La definizione di arbitrato
L'arbitrato è l'istituto, alternativo al giudizio ordinario, con il quale le parti intendono risolvere la controversia tra loro insorta deferendo il potere di decisione a un soggetto terzo, che può essere rappresentato da un arbitro unico oppure da un collegio arbitrale, costituito generalmente da tre arbitri, di cui uno con funzioni di presidente.
Tale istituto è disciplinato dal Libro IV - Dei procedimenti speciali, Titolo VIII - Dell'Arbitrato, cod. proc. civ., come modificato dal Dlgs. 40 del 2 febbraio 2006, recante Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 80 del 14 maggio 2005.

La convenzione di arbitrato
L'arbitrato trae origine dalla convenzione di arbitrato, che è rappresentata dal compromesso (articolo 807 cod. proc. civ.), formulato, a pena di nullità, per iscritto, con il quale si deferisce la controversia già insorta, oppure dalla clausola compromissoria (articolo 808 cod. proc. civ.), inserita nel contratto o in un atto successivo, con la quale le parti si impegnano a deferire a terzi le possibili controversie in ordine all'esecuzione o all'interpretazione del contratto.

Le tipologie di arbitrato e il lodo arbitrale
L'arbitrato può essere rituale o irrituale, in funzione della concreta volontà negoziale delle parti, in base a quanto formulato con la clausola compromissoria, nonché secondo diritto, secondo equità, ad hoc e amministrato.
In particolare, possiamo distinguere le seguenti tipologie di arbitrato:
- arbitrato rituale, che si svolge come un vero e proprio giudizio, secondo le norme del codice di procedura civile, in particolare del Capo III - Del procedimento. Esso si conclude con la pronuncia della sentenza, denominata "lodo arbitrale", redatto in forma scritta, deliberato a maggioranza di voti, con la partecipazione di tutti gli arbitri. Il lodo ha, dalla data della sua ultima sottoscrizione, gli effetti della sentenza di primo grado pronunciata dall'autorità giudiziaria. La parte che intende fare eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo insieme con l'atto contenente la convenzione di arbitrato nella cancelleria del Tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Il Tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Il lodo reso esecutivo è soggetto a trascrizione o annotazione, in tutti i casi nei quali è soggetta a trascrizione o ad annotazione la sentenza avente il medesimo contenuto. Il lodo è soggetto all'impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo e può essere eventualmente impugnato avanti la Corte d'Appello;
- arbitrato irrituale (articolo 808-ter cod. proc. civ.), che nasce dalla volontà delle parti, espressa con disposizione scritta, di deferire al soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale) la risoluzione della controversia mediante determinazione contrattuale.Con esso le parti si impegnano ad adottare la determinazione o volontà del soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale), come se fosse un accordo diretto tra esse. In caso di difformità, il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente. Pertanto nell'arbitrato irrituale il lodo ha valenza di contratto tra le parti ed è eventualmente impugnabile avanti il giudice di primo grado;
- arbitrato di diritto, in cui gli arbitri decidono in base alle norme giuridiche che si applicano al caso oggetto del procedimento arbitrale;
- arbitrato di equità, in cui gli arbitri decidono secondo criteri equitativi. A tale proposito si fa presente che una decisione arbitrale secondo diritto è pur sempre anche secondo equità, in quanto è possibile presumere che il diritto sia equo;
- arbitrato ad hoc, quando le parti provvedono direttamente alla nomina del soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale) e alla definizione di tutte le questioni riguardanti il concreto svolgimento della procedura, compresa l'attività di segreteria del procedimento arbitrale, svolta in autonomia da parte del soggetto terzo;
- arbitrato amministrato, allorché le parti, che non intendono scegliere direttamente il soggetto terzo (arbitro o collegio arbitrale) a cui deferire la risoluzione della controversia tra loro insorta, si rivolgono a specifiche istituzioni (per esempio, alle Camere arbitrali presso le Camere di commercio), le quali amministrano il relativo servizio, fornendo di fatto attività di segreteria all'arbitrato, che, come visto, nell'arbitrato ad hoc è svolta direttamente dal collegio o da un segretario appositamente nominato dal collegio.
Le Camere arbitrali sono state istituite presso le Camere di commercio, ai sensi della legge 580 del 29 dicembre 1993, recante Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Un esempio importante di arbitrato amministrato è quello svolto dalla Camera arbitrale per i contratti pubblici presso l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) (il Dl 90/2014, convertito nella legge 114/2014, ha soppresso l‘Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - AVCP e ha trasferito le competenze in materia di vigilanza dei contratti pubblici all'Autorità nazionale anticorruzione).
Tale Camera arbitrale - e i relativi Collegi arbitrali - si fonda sugli articoli 241-242-243 del Dlgs. 163 del 12 aprile 2006, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e successive modifiche e integrazioni, sul D.M. lavori pubblici 398 del 2 dicembre 2000, Regolamento recante le norme di procedura del giudizio arbitrale, ai sensi dell'art. 32 della legge 109 dell'11 febbraio 1994, e successive modificazioni, articolo 10, commi 1, 2, 4, 5, 6, e tariffa allegata, nonché sulle disposizioni del codice di procedura civile, Libro IV – Dei procedimenti speciali, Titolo VIII, articoli 806-840 (si veda l'articolo 241, comma 2, del Dlgs. 163/2006).


Requisiti e deontologia dell'arbitro
Per quanto riguarda i requisiti degli arbitri, l'articolo 812 cod. proc. civ. afferma che «Non può essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, della capacità legale di agire». Pertanto la legge considera quale unico requisito per rivestire la qualità di arbitro la piena capacità legale di agire.
È evidente però che, per potere rivestire il ruolo di arbitro e a maggior ragione quello di Presidente del Collegio arbitrale, è innanzi tutto strettamente necessario avere competenza ed esperienza nell'oggetto della controversia, conoscere la pratica del diritto sostanziale e processuale applicabile all'arbitrato, avere partecipato a corsi di formazione specifica in tema di arbitrati e di procedimenti arbitrali.
Inoltre, ai sensi dell'articolo 815 cod. proc. civ., un arbitro può essere ricusato:
- se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
- se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
- se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado, o è convivente, o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
- se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
- se è legato a una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; inoltre se è tutore o curatore di una delle parti;
- se ha prestato consulenza, assistenza o difesa a una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.
Pertanto l'arbitro deve essere imparziale e indipendente, quindi libero e neutrale, vale a dire che non deve avere rapporti con le parti o con i loro difensori tali da incidere sul suo lavoro, né avere interessi propri connessi alla controversia o riserve circa la materia del contendere, pena la sua ricusazione.
L'arbitro, dopo l'accettazione dell'incarico, ha l'obbligo di non rinunciarvi, se non per giustificato motivo, ed è necessaria la pronuncia del lodo entro il termine stabilito dalle parti o dalla normativa applicabile al procedimento.
Gli arbitri hanno il diritto di ottenere il rimborso delle spese eventualmente sostenute, oltre al pagamento dell'onorario per l'attività prestata.
Nel caso di arbitrato amministrato, l'arbitro deve anche attenersi specificamente al regolamento e/o al codice deontologico della Camera arbitrale presso cui esso si svolge.
In particolare, la Camera arbitrale per i contratti pubblici presso l'Autorità nazionale anticorruzione prevede che possono fare parte dell'Albo camerale anche i «tecnici in possesso del diploma di laurea in ingegneria o architettura, abilitati all'esercizio della professione da almeno dieci anni e iscritti ai relativi albi».
Questa Camera arbitrale forma e tiene in custodia anche l'elenco dei periti, dal cui ambito il Collegio arbitrale può scegliere il consulente tecnico d'ufficio, qualora intenda avvalersi di tale ausilio. Possono essere iscritti all'Elenco i soggetti in possesso di requisiti professionali, vale a dire «tecnici in possesso del diploma di laurea in ingegneria o architettura, abilitati all'esercizio della professione da almeno dieci anni e iscritti ai relativi albi…».

Gli arbitrati in controversie di natura squisitamente tecnica
Spesso i tecnici vengono coinvolti in arbitrati che hanno per oggetto materie tecniche di competenza specifica. Infatti, nei casi in cui l'oggetto della controversia sia di natura squisitamente tecnica (per esempio, inerente a beni immobili, ad appalti di lavori edili/stradali/impiantistici, pubblici o privati e così via, tra l'altro e di frequente anche con risvolti estimativi), è possibile che il professionista tecnico venga chiamato a partecipare al procedimento arbitrale in qualità di arbitro nominato da una delle parti o di Presidente del Collegio arbitrale, per cui offre il proprio contributo alla decisione finale con un approccio tecnico, mettendo in campo quindi tutte le sue competenze tecniche, oltre a quelle procedurali in materia di arbitrato.
In questi casi, si può affermare che il Collegio arbitrale conclude autonomamente il proprio mandato senza "supporti" esterni dall'inizio alla fine del procedimento.
Né peraltro, in tale caso, sarebbe plausibile affidare l'eventuale compito di "supporto" a un consulente tecnico d'ufficio (CTU) giurista, perché, in ogni caso, gli arbitri, ancorché di formazione squisitamente tecnica, come detto, dovranno necessariamente avere anche una preparazione, di contenuti e procedurale in materia arbitrale, conseguibile soltanto a seguito della frequenza di corsi specialistici, in modo da potere svolgere in autonomia il proprio compito fino al termine della procedura arbitrale.
Non sempre però nelle controversie di natura tecnica, come negli esempi sopra indicati, il Collegio è composto unicamente da arbitri tecnici: spesso è costituito soltanto da giuristi. In questi casi il Collegio è "costretto" ad affidarsi necessariamente almeno a un professionista tecnico (ingegnere, architetto, geometra, perito e così via) nominandolo CTU, il quale risolve la vertenza dal punto di vista tecnico.
In questi casi però, l'arbitrato diventa maggiormente oneroso per le parti interessate, perché è più alto il numero dei soggetti coinvolti per la decisione finale, a ciascuno dei quali dovrà essere corrisposto uno specifico compenso.

La procedura arbitrale
Il procedimento arbitrale, nel caso di arbitrato collegiale, in genere inizia con una prima riunione del Collegio arbitrale (a cui ne potranno seguire altre, in funzione delle necessità), nel corso della quale in sostanza il Presidente conferma l'accettazione dell'incarico conferitogli (gli arbitri invece accettano la nomina al momento della sottoscrizione dell'atto di nomina delle rispettive parti), si stabilisce la sede dell'arbitrato, ai sensi dell'articolo 816, comma 1, cod. proc. civ., riservandosi eventualmente la possibilità di tenere le udienze collegiali anche presso altre sedi.
Inoltre si procede all'attento esame della convenzione arbitrale e degli atti di nomina degli arbitri designati dalle parti e poi, alla luce delle norme in materia del codice di procedura civile e della giurisprudenza in merito, si stabilisce la tipologia dell'arbitrato (rituale, irrituale, secondo diritto, secondo equità).
Sempre in questa prima riunione, il Collegio arbitrale generalmente potrà prendere visione anche delle domande delle parti, delle eccezioni, delle argomentazioni e così via.
Il Collegio potrà inoltre richiedere alle parti la documentazione, anche squisitamente tecnica, strettamente indispensabile per la decisione finale, nonché, sempre alla prima riunione oppure in una riunione successiva, fissare il calendario delle ispezioni eventualmente necessarie, convocare la prima udienza (a cui ne potranno seguire altre, in funzione delle necessità), nel corso della quale non sarà tralasciato l'esperimento di un tentativo di transazione tra le parti e in subordine la definizione esatta dell'ambito del mandato arbitrale. Le udienze arbitrali sono presiedute dal Presidente del Collegio arbitrale.
In ultimo, dopo avere acquisito tutti gli elementi necessari per la decisione, il soggetto terzo (arbitro unico o collegio arbitrale) procede alla stesura attenta del lodo arbitrale, che, come detto, nell'arbitrato rituale ha valore di sentenza di primo grado, che in genere comprende, oltre alle dovute premesse e indicazioni, la descrizione puntuale dello svolgimento del giudizio arbitrale, i cenni di fatto, l'illustrazione dettagliata dei motivi della decisione, nonché le conclusioni e gli eventuali allegati.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©