Fisco

Il Fisco ora riabiliti il mattone: sarà la spinta vera all’economia

Basterebbero pochi interventi, tutto sommato semplici anche se forse pesanti in termini di riduzione (ma solo immediata) di risorse per l’erario

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Il fabbisogno di liquidità di imprese e autonomi – oggetto di molte norme del decreto Rilancio – è sicuramente la questione oggi più urgente ma una pianificazione economica di ampio respiro deve ragionare anche su come le variabili fiscali possano far ripartire gli investimenti. Per il futuro prossimo sono infatti indispensabili interventi di tipo strutturale: solo un Fisco più leggero e una riduzione dei vincoli burocratici, infatti, possono aiutare a a far tornare la fiducia negli operatori e a canalizzare in investimenti risorse che altrimenti resterebbero congelate.

Prendiamo come esempio uno dei settori più delicati dell’economia nazionale, ovvero quello immobiliare: basterebbero pochi interventi, tutto sommato semplici anche se forse pesanti in termini di riduzione (ma solo immediata) di risorse per l’erario. Si deve trattare di interventi strutturali: le misure del nuovo decreto che introducono e ampliano fino al 110% crediti di imposta temporanei e bonus “a tempo” per gli interventi edilizi, seppur positive, non hanno questa forza.

Per far ripartire il settore si devono infatti considerare le condizioni del mercato e le esigenze dei soggetti: la difficoltà delle famiglie ad acquistare abitazioni e spesso la preferenza dell’affitto, la necessità di riqualificare aree e quartieri cittadini, l’esigenza di strutture specifiche (ad esempio per gli anziani) sono solo alcune delle variabili. Il mattone, dopo anni in cui è stato considerato un bene rifugio, è visto oggi come un investimento a basso reddito e super tassato: questo è l’elemento che deve essere rimosso al più presto.

Il possesso degli immobili e la patrimoniale «di fatto»

Chi detiene un immobile sa che va incontro ad una tassazione patrimoniale “di fatto”, a prescindere dalla produzione o meno di un reddito, che si ripete ogni anno ed è composta da imposte dirette sulle rendite e da tributi locali. Un primo tipo di intervento, forse il più semplice, dovrebbe ammorbidire questo prelievo.

Occorre poi considerare che molto spesso la liquidità che potrebbe essere investita nel settore immobiliare è detenuta da imprese. In tali casi, poiché si vuole evitare di inserire l’immobile nel patrimonio aziendale “a rischio”, la scelta naturale è l’impiego di società immobiliari. Ma questo si scontra contro un grande scoglio dell’attuale sistema – non a caso oggetto di dibattito ma non ancora risolto a livello normativo – e cioè la disciplina delle società di comodo.

A parte le critiche di fondo su questo sistema, va ricordato che il reddito figurativo è calcolato con coefficienti ben lontani dalle ipotesi di redditività reali degli immobili, soprattutto in epoca di crisi economica dovuta al coronavirus. La normativa sulle società non operative andrebbe sospesa per il periodo di crisi e poi ripensata, come minimo riducendo alla ragionevolezza i coefficienti e i moltiplicatori.

Le compravendite immobiliari: prelievo da ripensare radicalmente

Un grosso deterrente è il sistema impositivo sulle compravendite. Per gli acquirenti, andrebbe ripensato radicalmente il sistema della tassazione indiretta: imposte anacronistiche come registro, ipotecaria e catastale gravano fino al 10% sul valore delle transazioni, ripetendo l’applicazione nel tempo anche allo stesso immobile se diventa oggetto di altre vendite. Quanto meno, si dovrebbero ridurre le aliquote, magari unificandole al livello oggi previsto per la prima casa, facendo così scomparire tutti i dubbi interpretativi e il contenzioso sulle attuali riduzioni.

Per quanto riguarda le vendite, il problema riguarda soprattutto le società immobiliari. Su di esse, occorre che il Fisco rinunci ad aggredire qualunque tipo di operazione venga compiuta: la pex - l’esenzione sulle plusvalenze - dovrebbe riguardare anche la cessione di queste società, come avviene in molti altri Paesi europei. Inoltre, sarebbe il caso di escludere le contestazioni di abuso del diritto su tutte le operazioni che veicolano la cessione di immobili sotto forma di cessione di società (scissioni con spinoff immobiliari, per fare l’esempio più generale). Rinunciare a questa tassazione avrebbe l’effetto di spingere gli investimenti immobiliari da parte delle società.

Incentivare la riqualificazione del territorio, di centri storici e di aree urbane

Lo strumento dei benefici fiscali, così spesso utilizzato per i privati, come nel caso delle ristrutturazioni, potrebbe diventare una leva non solo per stimolare il mercato, ma anche per indirizzarlo verso obiettivi di particolare pregio a fini urbanistici e di riqualificazione del territorio. Si dovrebbero studiare incentivi, sulla falsariga dei crediti di imposta, per chi acquista e/o riqualifica immobili nei centri storici, oppure in zone specifiche delle città sia per un utilizzo diretto (sede aziendale) sia la vendita (al fine di calmierare i prezzi).

Gli incentivi devono interessare anche i fruitori degli investimenti: le famiglie che prendono in affitto immobili con specifiche caratteristiche dovrebbero avere aiuti per far fronte a un canone che, dall’altra parte, renda profittevole l’investimento per chi realizza l’opera.

Il vero ostacolo rischia di essere il groviglio delle disposizioni

Sono alcuni piccoli passi che nella loro globalità possono aiutare a ricostruire un mercato. Il tutto a patto che lo stimolo fiscale non si infranga poi – come spesso avviene – con le mille pastoie di circolari e risoluzioni o, ancora peggio, con i tempi biblici di licenze e autorizzazioni.

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