Condominio

Più fonti rinnovabili oltre il gas, si parte da 950mila impianti

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

Una spinta alla produzione di energie rinnovabili. E una semplificazione delle autorizzazioni. Il doppio intervento del premier Mario Draghi alla Camera – 25 febbraio e 9 marzo – indica una rotta chiara da seguire. Con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal gas russo. Ma anche di fare ciò che non si è fatto negli anni scorsi: diversificare l’approvvigionamento energetico, in modo tale da non trovarsi troppo legati a un unico fornitore o a un’unica fonte.

Puntare sulle rinnovabili – in prospettiva – significa anche contenere i costi. Pur se nell’immediato sono indispensabili misure temporanee come quelle varate venerdì scorso dal Consiglio dei ministri: dal bonus sociale per le bollette delle famiglie al credito d’imposta a favore delle imprese per l’acquisto di elettricità e gas.

Gli impianti e la produzione

Il dato di partenza è che, in tema di rinnovabili, l’Italia è già più avanti degli obiettivi europei. Secondo il Gse, nel 2020 le energie pulite hanno coperto circa il 20,4% dei consumi energetici totali nei settori elettrico, termico e dei trasporti, contro un target Ue del 17% (direttiva 2009/28/Ce). Il divario è stato amplificato dal calo di alcuni consumi dovuto alla pandemia nel 2020 – come i trasporti aerei – ma già nel 2019 l’Italia era al 18,2 per cento. E resta il fatto che l’attuale crisi con la Russia impone di spingersi oltre.

Un aiuto – in questo senso – arriva dal Pnrr, che prevede (missione M2C2) un incremento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e uno snellimento delle procedure, già ritoccate nei giorni scorsi dal decreto Energia (Dl 17/2022).

Il Rapporto statistico 2020 del Gse – che sarà pubblicato oggi – ha censito 949mila impianti per la produzione elettrica, con una potenza complessiva di 56 GW. Quelli di gran lunga più diffusi sono gli impianti fotovoltaici – circa 936mila – cui fa capo, però, poco meno del 40% della potenza. In confronto, l’eolico arriva intorno al 20% con solo 5.660 impianti.

In termini di elettricità prodotta, la somma di fotovoltaico ed eolico sfiora i 44mila GWh, ancora sotto i 47.500 del “tradizionale” idroelettrico. Che viene superato solo considerando anche i 19.600 GWh prodotti con le bioenergie (biomasse, biogas e bioliquidi). A livello territoriale, dalle regioni del Sud arriva oltre il 90% dell’elettricità prodotta sfruttando il vento. Ma solo il 37% di quella di fonte solare. Infatti, con l’eccezione della Puglia – che primeggia anche per l’eolico – le regioni con la maggior produzione fotovoltaica sono tutte a Nord: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto.

I bandi del Pnrr

L’Osservatorio di Anie Rinnovabili evidenzia nel 2021 un calo di 21 MW nella potenza installata, dovuto al rallentamento dei nuovi impianti e alla chiusura dei vecchi.

Anche per questo i prossimi mesi saranno decisivi per i nuovi bandi in arrivo grazie al Pnrr. Dopo i primi quattro già avviati per 2,5 miliardi di euro, se ne prevedono altri per quasi 10 miliardi. I fondi spaziano dalla promozione delle comunità energetiche per l’autoconsumo (2,2 miliardi) fino al rafforzamento delle smart grid, le reti energetiche intelligenti (3,6 miliardi). Due capitoli di investimento che tendono a ottimizzare lo sfruttamento dell’energia prodotta dalle rinnovabili, attenuando gli inconvenienti della sua discontinuità. Altri bandi riguarderanno poi lo sviluppo agrovoltaico, per coniugare sugli stessi terreni attività agricole ed energetiche (1,1 miliardi), e del biometano (1,9), citato da Draghi in Parlamento («l’obiettivo è raggiungere le 200mila tonnellate nel 2023 e un incremento di 50mila tonnellate annue nel successivo triennio»).

Rilevante è anche il decreto ministeriale “Fer 2” del Mite, che discende dalla direttiva europea Red II (si veda Il Sole 24 Ore del 19 marzo). Il decreto ha il compito di stabilire le modalità e le condizioni per incentivare gli impianti innovativi alimentati da biogas e biomasse (non solo nuovi ma anche già esistenti), solari termodinamici, geotermoelettrici anche a zero emissioni ed eolici o fotovoltaici galleggianti in mare o su piattaforme petrolifere dismesse. Prevedendo una valutazione accelerata per gli impianti di potenza superiore a 10 MW e, più in generale, tempi massimi per la realizzazione dei vari interventi.

Il nodo della burocrazia

Se tutto andrà secondo i piani, i bandi e gli incentivi si tradurranno in nuove istanze e progetti. Ma il rischio è che tutto si areni nella burocrazia.

Come ha ricordato Terna in audizione alla Camera l’8 marzo scorso, oggi le richieste di connessione di nuove capacità rinnovabili alla rete in alta tensione hanno già un valore triplo rispetto a quello richiesto per raggiungere gli obiettivi di produzione elettrica al 2030. Non tutte le istanze, però, si tradurranno in nuovi impianti. Anzi, «per abilitare questo processo è fondamentale garantire iter autorizzativi snelli ed efficaci», ha spiegato il direttore affari regolatori di Terna, Fabio Bulgarelli. E solo sbloccando gli iter si potrà «rispettare l’obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza di 70 GW di rinnovabili entro il 2026», ha sottolineato il premier Draghi.

Un intervento si è già concretizzato con il Dl Energia ora in fase di conversione (si veda l’articolo in basso): semplificazioni per l’installazione di impianti solari fotovoltaici e termici su edifici e strutture; definizione di un modello unico per impianti da 51 a 200 kW; semplificazione delle procedure autorizzative per gli impianti offshore e per quelli a sonde geotermiche. E un ulteriore pacchetto di semplificazioni è già stato annunciato dal Governo.

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