Condominio

Solo per la tutela di atti conservativi sui beni comuni l’amministratore non necessita di autorizzazione

Ci vuole il sì dell’assemblea a maggioranza qualificata per l’azione contro singoli o terzi e per ottenere statuizioni sulla titolarità dei beni

di Selene Pascasi

L'amministratore può essere citato in causa per qualsiasi azione concernente le parti comuni dell'edificio condominiale per facilitare l'instaurazione del rapporto processuale ed ovviare alle difficoltà ed ai problemi legati all'identificazione di tutti i condòmini. La norma, però, circoscrive le sue funzioni agli atti conservativi delle parti comuni lasciando fuori i diritti sulle stesse. Gli occorrerà, perciò, l'autorizzazione assembleare adottata a maggioranza qualificata per poter agire contro singoli o terzi ed ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condòmini su cose o parti che esulino dal novero degli atti meramente conservativi. Lo precisa il Tribunale di Palermo con sentenza 1904 del 3 maggio 2021.

La vicenda
Nodo della lite sono diverse azioni, tra cui una rivendica, una risarcitoria, una negatoria di servitù. È un proprietario a citare condominio e condòmini chiedendo d'accertare la fondatezza delle descritte domande denunciando, altresì, l'abusiva realizzazione sulla sua rampa carrabile di una serie di opere. L'ente si difende: gli interventi erano stati realizzati sull'area condominiale adibita ad ex alloggio del portiere ed autorizzati con delibera approvata all'unanimità. In sintesi, la parte reclamata come esclusiva andava, a ben vedere, considerata bene comune sul quale i condòmini avevano da sempre esercitato il possesso alloggiandoci i contatori delle varie utenze ed esercitandovi il passaggio per avere accesso al portierato.

Di qui, la richiesta di rigetto dell'istanza ed in subordine di accertamento dell'avvenuta usucapione della proprietà della discenderia, della servitù di passaggio e l'attribuzione della proprietà del suolo occupato con le opere contestate. Durante il processo, però, con memoria veniva messa in discussione la legittimazione attiva del condominio rispetto alle domande riconvenzionali proposte, atteso che l'amministratore non aveva alcun mandato speciale da parte dei condòmini. Mandato necessario, si rilevava, dal momento che la domanda di usucapione e di accessione invertita esorbitavano dai poteri deliberativi dell'assemblea e dai poteri di rappresentanza del gestore stesso.

L’identificazione dei condòmini
Questa, ed altre ragioni, vengono affrontate dal Tribunale che – superate tutte le altre questioni proposte – tiene a marcare la nullità, e quindi l'inammissibilità, delle riconvenzionali spiegate dal condominio, avendo il gestore agito in assenza della necessaria autorizzazione assembleare o del mandato speciale dei singoli condòmini. Come è noto, sottolinea il giudice, l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualsiasi azione concernente le parti comuni per soddisfare l'esigenza di facilitare l'instaurazione del rapporto processuale ovviando a difficoltà e problemi d'identificazione di tutti i condòmini.

Ma il Codice civile, all'articolo 1130, circoscrive le funzioni dell'amministratore agli atti conservativi delle parti comuni e non dei diritti su di esse. Rilievo che ne esclude la rappresentanza processuale nei processi in cui si controverte dello statuto giuridico o della titolarità di un bene piuttosto che del suo aspetto meramente materiale. Ebbene, nella fattispecie, era certo che l'amministratore – senza delibera autorizzativa – non poteva proporre domande riconvenzionali come quelle introdotte siccome tese persino ad affermare un diritto su un bene altrui o ad ottenere l'attribuzione di un diritto nuovo.

Mancava, a conti fatti, un presupposto imprescindibile dell'azione introdotta in via riconvenzionale e questo impediva al giudice ogni possibilità di scendere all'esame nel merito. Ecco che il Tribunale di Palermo, dichiarata la proprietà esclusiva della discenderia presente nel condominio, accerta l'occupazione abusiva denunciata e condanna l'ente gestorio sia al rilascio dell'area che alla riduzione in pristino dei luoghi, sancendo nel contempo l'inammissibilità delle richieste riconvenzionali.

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