Condominio

Licenziamento illegittimo del portiere: senza prove contrarie, valida la delibera che lo decide

È il lavoratore a dover dimostrare l’intento ritorsivo che altrimenti non è individuabile

di Ivana Consolo

Le prove sono quelle evidenze che dimostrano se qualcosa è vero o valido, ciò che permette di conoscere attraverso una verifica. La sentenza numero 32551, emessa dalla sezione lavoro della Cassazione in data 8 novembre 2021, ci dimostra quanto una posizione processuale potenzialmente meritevole, possa risultare irrimediabilmente compromessa in assenza di valide prove che la sostengano.

I fatti e le pronunce di merito
La vicenda che fa da sfondo alla pronunzia, è il licenziamento in tronco del portiere di un condominio, deliberato in sede di assemblea condominiale. Due le condotte poste in essere dal lavoratore e ritenute dal condominio meritevoli di provvedimento disciplinare: l'essere andato in escandescenze sotto l'effetto di alcool (presso l'alloggio riservatogli nello stabile condominiale); non avere prestato attività lavorativa per 4 giorni consecutivi, senza fornire giustificazione alcuna né richiedere preventiva autorizzazione da parte dell'amministratore.

Il portiere contestava il licenziamento, ritenendolo illegittimo; difatti, sosteneva che 2 condòmini, con cui esistevano attriti personali, avessero preso a pretesto queste circostanze per influenzare negativamente l'assemblea, e far licenziare il dipendente poco gradito, che così sarebbe stato destinatario di un provvedimento prettamente ritorsivo. In primo grado, il Tribunale aveva escluso la natura ritorsiva del licenziamento, sostenendo che nessuna prova fosse stata fornita dal portiere circa l'ostilità personale dei condòmini.

Tuttavia, secondo la stessa autorità giudiziaria, doveva ritenersi che il licenziamento fosse illegittimo per le seguenti ragioni: l'accadimento avvenuto presso l'abitazione del portiere, era una vicenda privata e personale; l'assenza sul lavoro protrattasi per alcuni giorni consecutivi, era del tutto giustificata da un ricovero ospedaliero; e l'omessa comunicazione all'amministratore della necessità di assentarsi, era una mancanza non tale da giustificare il licenziamento, che quindi appariva sproporzionato La Corte d'appello di Genova, investita in secondo grado della vicenda, riteneva invece perfettamente valido il licenziamento deciso ai danni del portiere, dovendosi dare esclusivo rilievo alla condotta indisciplinata del lavoratore, non certo alle presunte ragioni di astio personale, peraltro non dimostrate in giudizio.

Il portiere, si rivolge così alla Suprema corte, che si trova a dover decidere tanto sulla questione principale (ovvero la legittimità o meno del licenziamento), quanto su di un'altra questione secondaria: la mancata riunione del giudizio sul licenziamento con quello relativo al conseguente rilascio dell'alloggio occupato dal portiere, anch'esso posto al vaglio della Corte genovese.

La decisione della Cassazione
Gli ermellini, come è ovvio, dedicano maggiore attenzione al tema primario: la legittimità o meno del licenziamento. Si richiamano alla previsione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, secondo cui un licenziamento è nullo, in quanto ritorsivo, solo se, di fondo, esiste un motivo illecito determinante, che sia altresì l'unico esclusivo motivo giustificante la sanzione disciplinare. Nel caso di specie, sebbene si possa convenire con il lavoratore nel ritenere che il licenziamento in tronco appaia una sanzione eccessiva rispetto alla condotta, non si può tuttavia negare che vi siano state ragioni del tutto lecite a sostegno della decisione adottata dal condominio: l'indisciplinata condotta del lavoratore.

In ogni caso, secondo i giudici di Piazza Cavour, il portiere avrebbe dovuto dimostrare in modo oggettivo il motivo illecito (la presunta ritorsione personale) che renderebbe nullo il suo licenziamento; cosa che il lavoratore non ha fatto. Nessun accoglimento merita poi un'ulteriore difesa spiegata dal portiere: la delibera che ha deciso il suo licenziamento sarebbe contestabile poiché adottata da un'assemblea svoltasi presso un locale della privata abitazione del dipendente. La Cassazione sostiene che, se in sede di legittimità viene sollevata una questione giuridica implicante un accertamento di fatto, è necessario che la parte abbia già sollevato la questione anche in sede di giudizio di merito, con tanto di indicazione degli atti in cui lo si è fatto.

Conclusioni
Diversamente, la Suprema corte si trova nell'impossibilità di esaminare ed evincere, attraverso gli atti, la veridicità dell'argomentazione addotta. Anche qui, il portiere è stato fallace. Nessun accoglimento, dunque, per il ricorso circa l'illegittimità del licenziamento, che viene ritenuto perfettamente valido.Quanto al secondo ricorso, quello inerente il rilascio dell'alloggio, secondo il portiere la Corte genovese avrebbe dovuto riunire i due procedimenti, essendo evidentemente collegati. Ebbene, la Cassazione nega anche il fondamento di tale pretesa, sostenendo che, per far valere la necessità della riunione di due procedimenti, il ricorrente deve dimostrare il pregiudizio concreto che può derivargli dalla mancata congiunta trattazione delle due cause. Nessuna prova è stata validamente fornita dal portiere a sostegno di tutte le sue argomentazioni; la conseguenza è il totale rigetto.

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