Condominio

Permessi edilizi: confine tra poteri dell’amministrazione e diritti dei condòmini

Il Comune, in sede di rilascio del titolo edilizio, non deve valutare aspetti prettamente condominiali che non appaiono per nulla pacifici o che non siano di immediata evidenza

di Ivana Consolo

Cosa succede se un Comune nega ad un condomino il permesso di costruire, sulla scorta di valutazioni attinenti alle maggioranze assembleari ed alla nozione civilistica di decoro architettonico?La sentenza del Consiglio di Stato numero 6345 del 17 settembre 2021, attraverso l'attenta disamina della giurisprudenza civilistica esistente sul tema, ci consente di individuare il confine esistente tra i poteri amministrativi ed i diritti dei singoli condòmini in tema di titoli edilizi.

I fatti
La vicenda che fa da sfondo alla pronunzia, vede quale protagonista il proprietario di un immobile collocato in uno stabile condominiale, per il quale, fin da epoca antecedente al momento in cui ne acquista il diritto dominicale, si erano susseguite nel tempo diverse Dia e Scia aventi ad oggetto interventi edilizi alquanto impegnativi. Divenuto proprietario dell'immobile, il ricorrente presentava successive Scia per l'esecuzione di svariate opere edilizie, molte delle quali in sanatoria per gli interventi precedentemente realizzati. Gli uffici tecnici comunali, anche a seguito di sopralluoghi effettuati, negavano reiteratamente i permessi edilizi richiesti e, dopo il rigetto dell'ennesima Scia in sanatoria, ingiungevano la demolizione delle opere nel frattempo realizzate.

Il ricorrente, presentava quindi un'ultima nuova Scia per la realizzazione dei seguenti interventi: chiusura di una veranda coperta affacciata nel cortile interno; ricostruzione del locale caldaia adiacente il muro perimetrale dell'abitazione affacciato nel cortile interno; trasformazione di una finestra (preesistente sul muro perimetrale dell'abitazione affacciata nel cortile interno) in una porta finestra di accesso all'abitazione; realizzazione di una canna fumaria allocata lungo tutto il muro perimetrale del fabbricato che si affaccia sul cortile interno.

Il Comune, ancora una volta si pronunciava negativamente, adducendo, tra le varie ragioni, anche una motivazione strettamente attinente ai rapporti ed ai diritti della compagine condominiale: rilevava che i suddetti interventi fossero lesivi del decoro architettonico, e comunque non avrebbero potuto essere autorizzati attesa la mancata produzione dell'atto di assenso dell'unanimità dei condòmini/comproprietari dello stabile. Sulla vicenda, si pronunciava il Tar Puglia, che riteneva perfettamente fondati e legittimi i provvedimenti adottati dall'amministrazione. Da qui la decisione del ricorrente di proporre appello al Consiglio di Stato.

L’analisi del Consiglio di Stato
Sorvolando sulle molteplici argomentazioni squisitamente amministrativistiche presenti in sentenza, occorre qui soffermarsi sulle valutazioni che il Consiglio di Stato formula in materia civilistica e condominiale. Ebbene, secondo il ricorrente, il Comune ed il Tar avrebbero commesso i seguenti errori di diritto:
-sarebbero inopinatamente entrati nel merito delle maggioranze assembleari necessarie ad approvare gli interventi voluti da un singolo condòmino;
-non avrebbero mai espresso in modo adeguato quali fossero le violazioni al contesto armonico del fabbricato che avrebbero arrecato gli interventi edilizi per i quali sono state proposte le varie Scia.

Tale ultima doglianza è rafforzata soprattutto dalla considerazione che l'immobile presentava già una sagoma del tutto disarmonica, per la presenza di verande, balconi chiusi, ed altri interventi realizzati nel tempo dai proprietari degli appartamenti. Poste le osservazioni di parte ricorrente, il ragionamento giuridico del Consiglio di Stato si articola attraverso l'analisi di orientamenti giurisprudenziali consolidati, per giungere a dare risposta a due fondamentali quesiti:
-esiste, in capo al Comune, la facoltà di esercitare un controllo sulle Scia che arrivi a sindacare anche in merito al consenso prestato dai condòmini?
-Può un Comune formulare valutazioni attinenti all’articolo 1120 del Codice civile, ultimo comma, che vieta le innovazioni che possono arrecare pregiudizio al decoro architettonico di un edificio condominiale?

Le risposte nella pronuncia
Vediamo come la sentenza in esame scioglie il primo dubbio.Preliminarmente vi è da dire che, in sede di rilascio del titolo abilitativo, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto (da parte dell’istante) dei limiti privatistici sull’intervento proposto. E tuttavia, ciò vale «solo nel caso in cui tali limiti siano realmente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte del Comune si traduca in una mera presa d’atto, senza necessità di procedere ad un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra privati». Nel caso di specie, al Comune era stata fornita la delibera assembleare che approvava a maggioranza gli interventi che il singolo condòmino aveva intenzione di realizzare; ciò era assolutamente sufficiente a fugare il dubbio che tali interventi avessero effettivamente ricevuto il via libera dalla compagine condominiale.

Al Comune bastava sapere che la maggioranza dei condòmini non poneva alcun veto alla volontà di un singolo compartecipante di esercitare una facoltà legittimamente spettantegli. Ad ulteriore argomentazione, il Consiglio di Stato pone mente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione, e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.

Il principio di diritto dirimente appare dunque il seguente: «l’utilizzazione, da parte del singolo condòmino, del muro perimetrale dell’edificio per le sue particolari esigenze, è legittima purché non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri di farne un uso analogo, e non arrechi danno alle proprietà individuali di altri condòmini, atteso che il condòmino di un edificio può apportare al muro perimetrale comune, senza il bisogno del consenso degli altri condòmini, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva, purché non impedisca agli altri condòmini di farne un uso analogo».

La nozione di decoro e le innovazioni
Passiamo ora al secondo quesito, la cui risposta sta tutta nelle nozioni di decoro architettonico ed innovazioni. Per decoro architettonico, si intende la tutela dell'edificio in sé, della sua armonia strutturale, del suo pregio, e del suo valore. La tutela del decoro architettonico è una facoltà del singolo condòmino, un'estrinsecazione del suo stesso diritto di proprietà. Le innovazioni, sono invece tutte quelle modificazioni in grado di alterare l’entità sostanziale, o la destinazione originaria dell'edificio condominiale. Le modificazioni utili a potenziare, o a rendere più comodo il godimento della cosa comune, lasciandone immutata la consistenza e la destinazione, non rientrano nella nozione tecnico-giuridica di innovazione.

Sono sufficienti le definizioni appena fornite per capire che:
- compito precipuo dell'amministrazione, attraverso le disposizioni del regolamento edilizio comunale e della normativa urbanistica, non è la tutela dell'edificio in sé, bensì l'attenzione al rapporto dell’edificio con l’ambiente circostante, e la tutela degli interessi al rispetto dell'ornato pubblico.
- gli interventi che il ricorrente avrebbe voluto realizzare, non sono riconducibili alla nozione di innovazione capace di incidere sul decoro architettonico, bensì alla più semplice nozione di modifica finalizzata ad un più comodo o maggiore godimento della cosa comune.

Conclusioni
Quali sono, dunque, i confini tra poteri dell'amministrazione e diritti dei condòmini? Il Comune, in sede di rilascio del titolo edilizio, non deve assolutamente valutare aspetti prettamente condominiali che non appaiono per nulla pacifici o che non siano di immediata evidenza. Qualora lo facesse, esorbiterebbe di fatto dalle proprie prerogative, sostituendosi illegittimamente ai comproprietari dell’edificio. L’acquisizione di un nulla osta a maggioranza e non all'unanimità, in tema di interventi edilizi non annoverabili nella nozione di innovazione non consentita, deve ritenersi sufficiente al fine di dimostrarne la legittimazione condominiale all’ottenimento del titolo edilizio. Non possono essere né il Comune, né il giudice amministrativo, i soggetti tenuti a vagliare l'operatività o meno dell’articolo 1120 del Codice civile ultimo comma.


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