Condominio

Per stabilire se c’è comunione occorre esaminare atti, funzione dei beni e comportamento delle parti

La novità della pronuncia in commento sta proprio nel fatto di aver dato rilievo (ancorchè in via residuale) anche alla condotta dei proprietari

di Matteo Rezzonico

Secondo una interessante pronuncia del Tribunale di Firenze (sentenza numero 1754 pubblicata il 25 giugno 2021), il condominio – a prescindere dai titoli - nasce per la sussistenza di beni comuni in condivisione tra più proprietari funzionalmente dedicati all'esistenza di più unità immobiliari. E dunque anche una casa colonica (cioè un edificio agricolo) – in applicazione dell'articolo 1117 bis del Codice civile - può essere oggetto di condominio in relazione a taluni beni come per esempio il tetto, la facciata o i muri perimetrali se tali beni siano funzionalmente destinati all'esistenza delle singole proprietà esclusive.

Il comportamento delle parti
Ove i titoli nulla dicano e il nesso funzionale manchi può assumere rilevanza il comportamento delle parti. Sotto quest'ultimo profilo se negli anni il comportamento delle parti sia risultato contrario al principio di comproprietà (per esempio perché le stesse abbiano modificato e ristrutturato ciascuna la porzione di facciata immediatamente adiacente la loro proprietà), non sussiste comunione. L'aver prestato rilevanza in materia di diritti reali al comportamento delle parti costituisce una interessante novità in una materia sicuramente complessa come quella del “diritto immobiliare”.

Il caso
Il proprietario di una porzione di una casa rurale ha citato in giudizio il vicino rivendicando la proprietà di un terreno adiacente la sua abitazione e chiedendo l’accertamento del confine, con apposizione dei termini. Il vicino ha contestato l'assetto proprietario del terreno prospettato dall'attore e la sussistenza di una servitù di passaggio veicolare. Inoltre il convenuto ha eccepito che nella fattispecie la casa rurale costituiva un condominio in relazione al tetto, alla facciata e ai muri perimetrali con la conseguenza che le opere di manutenzione straordinaria eseguite dall’attore sui suddetti beni costituivano violazione dei diritti dei comproprietari e del decoro architettonico, oltre ad aver creato danni alla sua proprietà (tra cui crepe ed infiltrazioni) di cui chiedeva l'eliminazione con remissione in pristino. Il convenuto chiedeva anche il ripristino di una apertura trasformata dall'attore in veduta.

Sulla domanda di danni e sulla questione della veduta l'attore ha chiamato in giudizio il direttore dei lavori di manutenzione eseguiti nel 2015 per essere tenuto indenne. Il direttore dei lavori costituendosi ha contestato che nella specie si fosse in presenza di un unico corpo di fabbrica costituente un condominio. A suo giudizio infatti si era in presenza di quattro distinti fabbricati costruiti in adiacenza, con la conseguenza che l'attività di ristrutturazione non avrebbe leso il decoro architettonico dell'edificio già oggetto di numerosi interventi che ne avevano profondamente modificato la fisionomia. Quanto alla trasformazione della finestra che si affaccia sulla proprietà del convenuto quest'ultima consentiva già in precedenza l'affaccio.

Il concetto di bene comune
Tralasciando le questioni riguardanti l'assetto proprietario della striscia di terreno, i confini e la veduta, riteniamo di soffermarci – ai fini della nostra trattazione - sulla domanda volta ad accertare l'esistenza di una comproprietà del tetto, della facciata e dei muri perimetrali dell'edificio diviso per linee verticali. Al riguardo il giudice fiorentino si sofferma sul primo atto di frazionamento dell’edificio risalente al 1923 chiarendo che in origine la casa colonica costituiva un'unica proprietà in capo ad un unico soggetto. Successivamente si è proceduto al frazionamento in più unità immobiliari di cui solo quelle tre site nel corpo centrale risultano attualmente di proprietà dell’attore.

Ciò premesso – ricorda il Tribunale di Firenze - la disciplina del condominio viene in rilievo come situazione di diritto (che non richiede alcuna attività) quando in un medesimo edificio coesistano sia unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condòmini sia parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse alle prime. Ciò sta a significare che il condominio e la regolamentazione giuridica che ne consegue presuppongono e si fondano sul nesso di “necessità” o di “funzionalità” tra le diverse porzioni di un edificio. In tale contesto l’articolo 1117 del Codice civile introduce una presunzione relativa di contitolarità di determinati beni comuni in esso elencati tra i quali rientrano «tutte le parti necessarie all’uso comune» e i muri maestri ed i tetti.

La presunzione di comunione
Quella a cui fa riferimento l'articolo 1117 del Codice Civile va ricostruita muovendo dall’incipit della disposizione che, nel richiamare il concetto di «necessità all’uso comune», consente di inglobare nel meccanismo presuntivo tutto ciò (e solo ciò) che ha un’attitudine oggettiva al godimento collettivo in relazione ai beni di proprietà esclusiva, secondo una valutazione rimessa al giudice che può estendere o comprimere l’elenco non tassativo.

I poteri del giudice
Compete al giudice valutare, in primo luogo, la struttura e la conformazione del bene, quali indicatori del nesso di strumentalità richiesto dalla norma. Con la precisazione che più il collegamento è stringente (come ad esempio avviene nel caso di materiale incorporazione tra due o più immobili) più la presunzione sarà difficile da superare. Inoltre rilevano sia il titolo di acquisto (articolo 1117 del Codice civile) sia la destinazione particolare del bene che può addirittura prevalere sull’attribuzione legale alla stregua del titolo contrario. Qualche indicazione può provenire dal comportamento delle parti coinvolte, qualora esso sia adatto a determinare la sottrazione del bene dal regime di condominialità (Cassazione 19478/2007).

La decisione del Tribunale di Firenze
Sulla scorta di tali considerazioni il Tribunale di Firenze ha ritenuto che nella specie non sussistesse comproprietà, in quanto le diverse origini degli edifici e - soprattutto - l’assenza di opere comuni sulle porzioni di fabbricato oggetto del giudizio concorrono ad escludere l’esistenza di un vincolo funzionale tanto marcato da essere incompatibile con la proprietà esclusiva di detti beni e, pertanto, determinano un superamento della presunzione ex articolo 1117 del Codice civile.

Questa conclusione non è smentita dall'unità strutturale dell’edificio, che è concetto diverso e che rileva, non per stabilire la continuità o meno dei predetti beni, quanto piuttosto per verificare se è astrattamente configurabile un nesso eziologico tra i lavori eseguiti e i danni lamentati da parte convenuta nelle proprie unità, a prescindere dall’esistenza di eventuali limiti al diritto di godere e disporre di pareti e copertura.

Conclusioni
In conclusione il Tribunale di Firenze ha ritenuto - tenuto conto dell'assenza del nesso funzionale tra il tetto, le pareti e tutte le unità immobiliari dell’edificio, nonchè del comportamento delle parti che, nel corso degli anni, hanno apportato autonome modifiche sia alla facciata che alla copertura - che limitatamente alle porzioni connesse alle singole unità immobiliari ciascuna parte in causa esercitasse in via esclusiva un autonomo diritto di proprietà (e non di comproprietà).

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