Condominio

La sostituzione della caldaia non è innovazione e non la paga chi non è collegato all’impianto

L'impianto di riscaldamento resta una cosa comune, ma se si è privi di radiatori e di tubazioni non si è tenuti a partecipare alle spese

di Selene Pascasi

La sostituzione della caldaia termica che sia ancora funzionante è modifica migliorativa dell'impianto, e non innovazione, qualora abbia lo scopo di consentire l'uso di una fonte di energia più redditizia e meno inquinante. Lo sottolinea la Corte di appello di Roma con sentenza numero 1886 del 12 marzo 2021.

I fatti
Accende la lite l'impugnazione da parte di un proprietario della delibera con la quale erano stati approvati la nuova posizione del contatore e la trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento da gasolio a gas metano. A suo avviso, la decisione assembleare era invalida sia per mancanza di quorum deliberativo che sotto il profilo della ripartizione delle spese dell'intervento. Costi, lamenta, che erano stati divisi secondo la tabella proprietà e non in base all'uso dell'impianto e quindi posti anche a suo carico nonostante i locali di cui era titolare non fruissero del servizio di riscaldamento giacché completamente privi di elementi radianti e non forniti di tubazioni o diramazioni specifiche.

Il Tribunale boccia la domanda e l'uomo formula appello: i lavori deliberati – modificazione del tipo di alimentazione dell'impianto di riscaldamento con la scelta del diverso combustibile, da gasolio a gas metano, nonché realizzazione della conduttura portante il gas dal contatore alla caldaia – andavano intesi come innovazioni trattandosi di opere nuove e diverse rispetto alla precedente struttura del servizio di riscaldamento, finalizzate a migliorare l'impianto di riscaldamento per un maggiore rendimento. Per approvarle, allora, serviva la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell'edificio. Motivo non accolto dalla Corte.

La sostituzione della caldaia
Spiegano i giudici che, a prescindere dal fatto che sia effettuata perché guasta, obsoleta o per una modifica migliorativa, non costituisce mai innovazione permanendo la destinazione funzionale dell'impianto di riscaldamento come cosa comune. In particolare, prosegue, la sostituzione della caldaia termica obsoleta o guasta equivale ad un atto di straordinaria manutenzione – volto semplicemente a ripristinare la funzionalità dell'impianto – mentre la sostituzione di quella funzionante rientra tra le modifiche migliorative dell'impianto se è tesa a consentire l'uso di una fonte di energia più redditizia e meno inquinante (Cassazione 238/2000).

Il quorum deliberativo
Ecco che, nella vicenda, la norma di riferimento era quella del secondo comma dell'articolo 1136 del Codice civile per cui, in seconda convocazione, era valida la delibera approvata con un numero di voti che rappresentava la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Delibera salva, dunque, almeno sotto quell'aspetto. Era scorretto, invece – e sul punto andava accolto l'appello – il criterio di divisione delle spese, spartite secondo la tabella di proprietà. Effettivamente, i locali dell'appellante non godevano del servizio di riscaldamento, essendo totalmente privi di radiatori e di tubazioni o diramazioni specifiche per un'eventuale futura collocazione di termosifoni all'interno.

In virtù del secondo o terzo comma dell'articolo 1123 del Codice civile, pertanto, non doveva alcunché non potendo fare uso dell'impianto e non traendone utilità. Del resto, è il Codice stesso a prevedere che se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'utilizzo che ciascuno può farne. Questa, la logica seguita dalla Corte di appello di Roma che – accolto parzialmente il ricorso e ritoccata la sentenza impugnata – annulla la delibera assembleare seppur limitatamente all'approvato criterio di riparto delle spese.

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