Condominio

Vanno rispettate le clausole conciliative contenute nei regolamenti condominiali

La clausola conciliativa contrattuale non preclude l'azione giudiziale, ma più di una pronuncia ritiene che l'inosservanza determini l'improponibilità della domanda

di Fulvio Pironti

Non è infrequente rinvenire regolamenti condominiali ricomprendenti clausole conciliative contrattuali. La clausola conciliativa è quella con cui le parti hanno previsto - con inserimento in un regolamento di condominio di origine contrattuale, volto perciò ad incidere mediante un complesso di disposizioni vincolanti - l'obbligatorietà di esperire il tentativo di composizione delle nascenti controversie prima di adire l'autorità giudiziaria. Essa rientra nel novero degli istituti di diritto sostanziale che prevedono una temporanea o condizionata impossibilità per le parti di agire in giudizio.

Il testo della clausola
Taluni regolamenti, la cui formazione è perlopiù risalente, riportano la seguente clausola: «insorgendo controversie fra condòmini o fra questi e l'amministratore, le parti, prima di adire l'autorità giudiziaria, dovranno sottoporre le controversie stesse alla locale Associazione fra proprietari di case per il tentativo di amichevole componimento». Perciò, nel caso di vertenze o dissidi fra condòmini, o fra questi e l'amministratore, ciascuna parte interessata non può adire l'autorità giudiziale prima di essersi rivolta alla locale Associazione territoriale dei proprietari di case per tentare una bonaria composizione della lite nascente.

Assetto giurisprudenziale ante-mediazione
La giurisprudenza di legittimità pre-mediazione - quindi prima della introduzione del Dlgs 4 marzo 2010, numero 28 - ritiene che la clausola conciliativa non comporti rinuncia alla tutela giurisdizionale per cui l'omesso esperimento del tentativo conciliatorio non frapporrebbe ostacoli alla proponibilità e procedibilità della azione giudiziale incidendo solo sul diritto ad un eventuale risarcimento del danno a carico della parte che non rispetta l'obbligo consacrato in un regolamento (Cassazione 388/1977; Cassazione 8983/1987; Cassazione 28402/2008).

Quindi, nel caso in cui un condòmino, nonostante l'obbligo di promuovere il tentativo di conciliazione, incardini la controversia infrangendo il vincolo regolamentare, l'azione non potrà considerarsi inammissibile in quanto i presupposti processuali per la validità del procedimento trarrebbero fondamento nella legge e non nell'autonomia privata. Asserisce, poi, che è assente il carattere vincolante nelle clausole di conciliazione se non sotto il profilo del diritto della parte adempiente a vedersi riconoscere un generico risarcimento del danno.

Sostiene, inoltre, che «subordinare l'esperibilità dell'azione all'infruttuoso esperimento del tentativo di conciliazione non comporta un mero differimento, ma una invalicabile preclusione all'azione destinata a durare fino all'esperimento di detto esperimento e quindi (eventualmente) per sempre in mancanza del medesimo».

Alcune riflessioni
Assodato che la clausola conciliativa contrattuale non preclude l'avvio dell'azione giudiziale, deve considerarsi legittima la previsione regolamentare che differisca temporalmente l'esercizio dell'azione giudiziale subordinandola all'esperimento del tentativo conciliatorio. Se, da un canto, la legge è considerata fonte idonea per introdurre tentativi obbligatori di conciliazione, dall'altro, anche la convenzione regolamentare (o contratto plurisoggettivo), essendo destinata ad esprimere fra le parti coobbligate efficacia e forza vincolante, ben può ritenersi fonte del diritto egualmente valida.

D'altronde, la clausola di conciliazione non implica, diversamente da quella arbitrale, rinuncia definitiva al contenzioso comportando, invece, solo un temporaneo e breve differimento cronologico. L'articolo 1372 Codice civile, applicabile alla clausola conciliativa condominiale, stabilisce che «il contratto ha forza di legge fra le parti». Il mancato rispetto, come il radicamento di un giudizio senza aver prima tentato l'amichevole composizione, dovrà comportare l'improcedibilità dell'azione e/o l'improponibilità della domanda. Dalla violazione di un patto conciliativo devono necessariamente discendere conseguenze giuridiche dai riflessi negativi.

Sostenere il contrario, svilirebbe l'essenza della clausola conciliativa, la forza coercitiva impressa con l'introduzione e l'espressa accettazione dei contraenti. Soltanto dopo aver esperito con esito infruttuoso l'amichevole tentativo di composizione della nascente controversia, le parti sarebbero pienamente legittimate a dar corso all'azione giudiziale. L'improcedibilità e l'improponibilità ricorrono nel caso in cui l'azione e la domanda giudiziale devono essere necessariamente precedute dal tentativo di conciliazione. Per le questioni sorte precedentemente al varo del Dlgs 28/2010, nessun termine per sanare o regolarizzare l'omesso tentativo di componimento può essere accordato dal giudice il quale, invece, deve limitarsi ad emettere una pronuncia squisitamente processuale conchiudendo la controversia.

Differentemente dal D. Lgs. 28/2010, ove è previsto che il giudice assegni un termine per consentire l'avvio della mediazione obbligatoria, in presenza di clausole conciliative regolamentari ciò non è previsto né consentito, perlomeno nella fase pregressa all'entrata in vigore della normativa mediatoria, per cui il decidente deve liquidare il procedimento dichiarando la domanda improponibile e l'azione improcedibile.

Assetto giurisprudenziale post-mediazione
Per le questioni ricadenti nella fase temporale successiva all'introduzione della mediazione (Dlgs 28/2010), non è irragionevole sostenere che la giurisprudenza ante-mediazione debba ritenersi ormai superata e inapplicabile. La giurisprudenza di merito postuma alla normativa mediatoria, discostandosi drasticamente dal precedente indirizzo, ha chiarito che «è improcedibile la domanda giudiziale per mancato esperimento del tentativo di conciliazione concordato in un contratto dovendo ritenersi nella disponibilità delle parti la subordinazione della lite alla previa sottoposizione del rapporto controverso ad un terzo» (Tribunale Roma 20690/2017).

Restituendo piena validità e operatività al patto conciliativo, la curia capitolina ha ribadito che esso non lede il diritto di difesa in quanto il presente contesto storico politico-giudiziario è costellato da molteplici sistemi di soluzioni alternative delle controversie. Ancòra, si è sostenuto che «l'inosservanza di una clausola contrattuale che obblighi le parti, prima di promuovere l'azione giudiziaria, ad esperire un tentativo di amichevole componimento della lite determina l'improponibilità della domanda» (Tribunale Roma 32134/2000) e, con riguardo al decreto monitorio, «qualora tra le parti sia stata stipulata una clausola che prevede in caso di controversia il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, diventa improponibile il ricorso monitorio promosso in violazione della stessa e conseguentemente va revocato il decreto ingiuntivo» (Tribunale Verona 6 aprile 2016).

Conclusioni
I pronunciati dianzi richiamati sono orientati ad esaurire il giudizio con il suggello della dichiarazione di improcedibilità e/o improponibilità. Tuttavia, non può sottacersi che l'articolo 5 Dlgs 28/2010 prevede la sospensione del giudizio da parte del giudice per rinviare le parti ad esperire l'omesso tentativo conciliativo. La normativa mediatoria ha disciplinato e assorbito le fattispecie riguardanti accordi conciliativi derivanti da contratti, statuti e atti costitutivi. In tale elencazione, assolutamente priva di tassatività, possono agevolmente rientrarvi anche i regolamenti condominiali nel cui seno siano state inserite clausole conciliative.

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