Condominio

Morosità, si pronuncerà la Consulta sulla legittimità della sospensione pignoramenti della prima casa

Sono due i tribunali che hanno investito la Corte della questione, richiamando la violazione di più di un articolo della Costituzione

di Roberto Rizzo

Il Tribunale di Rovigo –dopo quello di Barcellona Pozzo di Gotto- ha rimesso alla Consulta la questione della legittimità costituzionale della proroga della sospensione dell'espropriazione della prima casa, sino al 30 giugno prossimo, prevista dall'articolo 54-ter del Dl 17 marzo 2020, numero 18, introdotto dall'articolo 1, comma 1, della legge 24 aprile 2020, numero 27. Al comma 14 dell'articolo 13 del decreto Milleproroghe, infatti, si legge «All'articolo 54-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, numero 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, numero 27, le parole “fino al 31 dicembre 2020” sono sostituite dalle seguenti: “fino al 30 giugno 2021”.

I dubbi sollevati dal tribunale siciliano
Già il Tribunale siciliano aveva ritenuto di ravvisare due motivi di potenziale contrasto con la Costituzione, consistenti, rispettivamente:
1) nel fatto che, a cause delle reiterate proroghe dell'efficacia temporale della sospensione, il diritto dei creditori ad agire esecutivamente sia stato, di fatto, compresso e congelato immotivatamente e
2) nella circostanza per la quale la disposizione sembra rispondere, più che a vere e proprie motivazioni giuridiche, a mere logiche assistenzialistiche in quanto effettua una distinzione tra pignoramenti anteriori e successivi allo stato di emergenza, con la conseguenza che la sospensione risulta essere totalmente sganciata dall'accertamento di una qualunque correlazione tra la pandemia e l'espropriazione.

La pronuncia veneta
Con ancor più articolata motivazione, invece, il Tribunale di Rovigo, con l'ordinanza del 18 gennaio 2021, ha ipotizzato che la disciplina in questione contrasti con gli articoli 3, 41, 117 Costituzione. In primo luogo, il Tribunale veneto ha evidenziato il contrasto esistente tra la presunta necessità di tutelare la salute pubblica –per effetto dell'emergenza pandemica in atto- ed il blocco limitato unicamente alle procedure esecutive aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore.

Se il fine fosse stato effettivamente quello ipoteticamente sotteso alla normativa emergenziale, sarebbe stato equo adottare misure analoghe anche nei confronti degli altri esecutati.Pertanto, osserva il Tribunale, la scelta operata dal legislatore pare essere una scelta di politica abitativa, piuttosto che un'iniziativa mirante alla tutela di un bene costituzionalmente garantito, quale il diritto alla salute, attraverso la quale risolvere il problema della mancanza di alloggi e delle inevitabili, conseguenti, tensioni sociali, con un intervento mancante del requisito dell'urgenza e della necessità. Per questa via, ad avviso del Giudice rodigino, si mortifica la realizzazione coattiva del credito che, per i creditori procedenti, nelle varie procedure esecutive, costituisce espressione della libertà di iniziativa economica garantita dall'articolo 41 Costituzione, non rispettando, altresì, il requisito della proporzionalità.

Nessuna tutela della concorrenza
Allo stesso modo, il Tribunale remittente, individua una mancata tutela della concorrenza, posto che: «La concorrenza è totalmente falsata dalle norme censurate, in quanto, se un imprenditore può imputare a rischio d'impresa che certi clienti non onorino gli impegni assunti e, quindi, se può imputare sempre a rischio d'impresa la necessità di dover procedere giudizialmente al recupero dei crediti e i tempi necessari, per tal via, per conseguire il bene della vita (predisponendo perciò anche i necessari mezzi, caparre, garanzie, penali, accantonamenti, riserve), non rientra certo nel rischio d'impres a che le regole del gioco vengano modificate a partita iniziata, alterando la necessaria, sana programmazione e pianificazione aziendale».

Non favorito l’accesso al risparmio
Sotto altro profilo, la norma violerebbe l'articolo 47 Costituzione nella parte in cui quest'ultimo prevede che la Repubblica favorisce l'accesso al risparmio in tutte le sue manifestazioni, ivi compreso l'investimento nella proprietà immobiliare: «Ogni difficoltà (non necessaria, adeguata e proporzionata) frapposta al recupero del credito, provoca come reazione una stretta nell'erogazione di ulteriore credito da parte degli istituti, in particolare ai ceti meno facoltosi della popolazione, così che si produce il paradosso per cui una norma pensata per favorire una fascia di soggetti ritenuti deboli (alcuni, quelli insolventi) finisce con il danneggiare proprio l'intera fascia dalla quale molti di quei soggetti provengono».

Infine, si sottolinea la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, previsto dall'articolo 111 Costituzione, la quale, in nessun articolo, legittima una sospensione potenzialmente sine die dell'attività giurisdizionale.Alla luce di quanto articolato, la parola passa ora alla Consulta, la quale, si spera, metterà fine, una volta per tutte alla questione.

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