Condominio

La servitù di uso pubblico non nasce se una via è adibita al transito di persone diverse dal proprietario

Più che una consuetudine a beneficio di pochi è necessario l’utilizzo di una collettività indeterminata di persone

di Roberta Zanino

Il Tribunale amministrativo regionale Puglia (sezione III) con la sentenza 1570 del 4 dicembre 2020 si è occupato di individuare le condizioni in forza delle quali può sorgere una servitù di uso pubblico.

I fatti
Nel caso sottoposto all'esame del Tribunale, il Condominio, sul presupposto che l'area esterna ai fabbricati fosse stata destinata a parcheggio pertinenziale ad esclusivo uso del condominio nella convenzione di lottizzazione stipulata tra il proprietario costruttore ed il Comune, deliberava la chiusura dell'area con l'apposizione di quattro cancelli. Conseguentemente il condominio presentava al Comune comunicazione di inizio lavori asseverata per l'installazione dei quattro cancelli.Il Comune annullava in autotutela la comunicazione, sostenendo che sull'area gravava una servitù di passaggio pubblico.

Convenuto in giudizio il Comune si è limitato a sostenere che l'area era utilizzata per effettuare inversione di marcia da parte dei genitori dei bambini dell'asilo che si affacciava sulla via in questione, da sempre ad uso pubblico.Il Tribunale ha osservato che la stessa difesa comunale assume che le aree sarebbero utilizzate da una limitata cerchia di persone, per ciò stesso escludendo un uso protratto riferibile a tutti gli appartenenti alla comunità territoriale.

L’utilizzo di una collettività indeterminata
Manca dunque il presupposto fondante la costituzione del preteso diritto o servitù di uso pubblico, essendo del tutto pacifico che, a tal fine, occorra un uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un'utilizzazione finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata.Nel caso di specie era la stessa conformazione delle aree a smentire il preteso uso da parte della collettività, posto che l'accesso alle predette aree poteva essere funzionale esclusivamente all'accesso al complesso edilizio.

L’onere della prova
Il giudice amministrativo, ribadendo quanto già dedotto dal Consiglio di Stato in una recente sentenza (Consiglio di Stato, sezione II, 12 maggio 2020, numero 2992), ha accolto il ricorso proposto dal condominio, sottolineando che la verifica dell'esistenza della servitù pubblica di passaggio deve essere effettuata in base al generale principio scolpito dall'articolo 2697 del Codice civile secondo cui l'onere della prova di questa limitazione del diritto dominicale incombe in capo a chi ne afferma la sussistenza.

Secondo la sentenza, l'esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a detto scopo. In particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed amministrazione o un testamento. Dunque, affinché una strada privata possa essere considerata di uso pubblico, non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©