Condominio

Non ci si può opporre al passaggio nel cortile condominiale per lavori nel palazzo adiacente

Il condomino che pure dovesse parzialmente occupare il cortile non è tenuto a corrispondere alcuna indennità

di Michele Orefice

La Cassazione, seconda sezione civile, con la sentenza 20540 del 25 febbraio 2020 , ha stabilito che i comproprietari del cortile condominiale sono tenuti ad autorizzare l'accesso e il transito occasionale nella corte comune da parte del proprietario dell'immobile limitrofo, che dovesse avere la necessità di eseguire opere manutentive sul suo fabbricato, salvo che tali opere siano realizzabili, ugualmente, adottando una soluzione alternativa meno gravosa per tutti, che consideri il passaggio diretto dalla proprietà di chi li deve realizzare o di un terzo.

Inoltre, nella sentenza citata, la Cassazione ha specificato che ai comproprietari del cortile comune non spetta alcuna indennità da parte del vicino, che occupa temporaneamente una parte ridotta della corte, con materiali e attrezzature essenziali per l'esecuzione delle opere di manutenzione del suo edificio, fermo restando che lo stesso vicino è obbligato non soltanto a ripristinare lo stato dei l uoghi ma anche a risarcire i danni, con una congrua indennità, nel caso in cui dal suo accesso dovessero derivare dei concreti pregiudizi all'area comune.

I fatti di causa
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza di primo grado confermata dalla pronuncia di secondo grado della Corte di appello di Napoli, autorizzava la proprietaria dell'immobile confinante con il cortile condominiale a passare coattivamente nella corte comune, per provvedere ad intonacare un muro del suo fabbricato e apporre una ringhiera sul balcone del primo piano del suo edificio, che affacciava sullo stesso cortile comune, nonché per riaprire una porta chiusa presente al piano terra dello stesso edificio, con autorizzazione a riposizionare un infisso che in precedenza aveva consentito l'accesso dalla sua proprietà al medesimo cortile del quale la stessa proprietaria risultava essere contitolare insieme agli altri comproprietari.

Tale autorizzazione multipla veniva contestata dai comproprietari del cortile condominiale, che ricorrevano alla Cassazione eccependo, innanzitutto, l'assenza dei presupposti legali per l'esercizio del diritto di accesso coattivo alla corte comune da parte della proprietaria dell'edificio limitrofo, che secondo loro avrebbe dovuto, in ogni caso, corrispondere un'indennità per aver occupato l'area comune, con materiali ed attrezzature, che di fatto avevano impedito il parcheggio dei veicoli, obiettando, poi, che il diritto di veduta riconosciutole dal giudice di merito si fosse estinto, per intervenuta rinuncia della stessa proprietaria.

I giudizi di primo e secondo grado
In entrambi i giudizi la soluzione di accedere al cortile, per procedere ad intonacare la parete del fabbricato limitrofo e realizzare le altre opere manutentive, era stata ritenuta dai giudici l'unica soluzione percorribile, non essendo possibile accedervi per altre vie. Peraltro i giudici di primo e secondo grado avevano ritenuto che i comproprietari del cortile non avrebbero potuto pretendere alcuna indennità, per aver subito l'occupazione dell'area comune, con i materiali e le attrezzature necessarie all'esecuzione delle opere manutentive, anche se di fatto tali ingombri potevano in qualche modo impedire il parcheggio dei veicoli dei ricorrenti.

Infine, i giudici di merito avevano escluso che la proprietaria del fabbricato confinante avesse rinunciato al diritto di servitù, non essendoci prove in tal senso e non rilevando al riguardo il fatto che la stessa proprietaria non avesse usufruito di tale servitù per oltre vent'anni.

Il ragionamento della Cassazione
I giudici di Cassazione hanno ritenuto che i comproprietari del cortile dovevano consentire al vicino l'accesso e il passaggio nel cortile condominiale, per permettergli di effettuare lavori nella sua proprietà, anche perché il giudice del merito aveva riscontrato la necessità dello stesso vicino di procedere ad eseguire le opere di riparazione sul proprio fabbricato. In particolare, il giudice del merito, all'esito di una valutazione complessiva dello stato dei luoghi e degli elementi acquisiti al processo, aveva riconosciuto, legittimamente, l'accesso coattivo del vicino al cortile condominiale, dopo aver escluso di poter adottare soluzioni alternative meno gravose per i ricorrenti e per la proprietaria.

Sotto tale profilo, dunque, ai sensi dell'articolo 843 del Codice civile, secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l'accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell'immobile di sua proprietà, l'accesso al cortile si manifestava come l'unica soluzione concretamente percorribile, per intonacare le pareti dell'edificio limitrofo e ciò indipendentemente dalla liceità o meno degli interventi manutentivi descritti.

Infatti, la liceità degli interventi, non essendo stata eccepita innanzi ai giudici di merito, da parte dei comproprietari-ricorrenti, non era più passibile di accertamento ed eventuale censura in sede di legittimità.

No all’indennità
In merito, poi, all'indennità pretesa dai ricorrenti, i giudici di Cassazione hanno ritenuto che legittimamente la Corte di appello l'ha esclusa, in mancanza di comprovati danni arrecati al cortile dalla proprietaria dell'immobile limitrofo, che restava, ad ogni modo, obbligata a ripristinare lo stato dei luoghi, in conformità a quanto stabilito nelle precedenti pronunce della stessa Cassazione, di cui alle sentenze 3769/1968 – 1670/1969 – 4944/1982 – 7774/1982.

Inoltre, i giudici di Cassazione hanno ritenuto che il giudice del merito, in modo incensurabile, ha avuto modo di valutare come l'occupazione del cortile avesse interessato soltanto una parte ridotta dell'area comune e per un periodo di tempo limitato e peraltro senza comprometterne l'uso da parte dei comproprietari. Tali valutazioni, in base al giudizio finale della causa, giustificavano la condanna alle spese dei comproprietari resistenti, in ottemperanza al principio di soccombenza.

La rinuncia alla servitù va provata
Per quanto attiene, infine, al diritto di riaprire sia la porta al piano terreno e sia la veduta al piano primo, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretto il ragionamento compiuto dalla Corte di appello, che ha giustamente escluso la possibilità di considerare la richiesta di concessione edilizia presentata nell'anno 1990 al Comune, da parte della proprietaria dell'edificio limitrofo, come una rinuncia alla servitù.

Ciò in quanto i grafici depositati al Comune dal tecnico incaricato dalla stessa proprietaria non facevano menzione della trasformazione del balcone in due distinte finestre e della chiusura delle aperture preesistenti. Inoltre, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretta la decisione della Corte di appello di riconoscere alla proprietaria resistente il diritto alla rimozione sia dei cavi elettrici posizionati sulla parete del suo fabbricato e sia delle piante al confine con la stessa parete, ritenendo infondato il motivo con il quale i ricorrenti rivendicavano il diritto alla servitù di elettrodotto, per il fatto che i cavi posizionati in loco da molto tempo risultavano essere vetusti e inservibili, mentre le piante non erano altro che erbacce insistenti su uno sterrato, così come descritto nella relazione del consulente tecnico d'ufficio.

Per tali ragioni la Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso presentato dai comproprietari del cortile condannando i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali ed al versamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione.

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