Condominio

Valido il preliminare di preliminare?

di Donato Palombella


Il più delle volte la stipula del contratto definitivo di vendita di un immobile viene preceduto da un contratto preliminare in cui le parti disciplinano gli elementi fondamentali dell'accordo (individuazione dell'immobile, prezzo di vendita e modalità di pagamento, termini della consegna ecc). Più raramente alla stipula del definitivo si arriva attraverso una serie di passaggi per cui il preliminare di vendita viene preceduto da un ulteriore atto definito "preliminare di preliminare" in cui le parti si obbligano a concludere il successivo contratto preliminare. Si tratta di stabilire la validità di questo preliminare di preliminare e, ove questo non venga azionato e trasformato in un atto definitivo, gli effetti dell'intervenuta prescrizione.

Il caso in esame
Il detentore di un immobile chiede al Tribunale di voler accertare l'avvenuto trasferimento, in suo favore, della proprietà indivisa di un immobile. La richiesta si basa su una scrittura privata del febbraio 1983, a cui era seguito un successivo contratto di identico contenuto nel 1984, senza peraltro addivenire, a distanza di oltre un decennio, alla stipula del contratto definitivo. I convenuti si oppongono deducendo che negli anni, tra le parti, era intervenuta solo la sottoscrizione di due successivi preliminari di compravendita i quali non consentivano di ritenere trasferita all'attore la proprietà del bene a cui, in ogni caso, non era stata data esecuzione. Quindi, non solo si opponevano al trasferimento della proprietà, ritenendo il diritto al trasferimento del bene ormai prescritto per decorrenza del termine decennale, ma chiedevano il pagamento di un'indennità per l'occupazione ultradecennale del bene.

Il Tribunale solleva una serie di eccezioni
Il Tribunale rigetta la domanda principale per una serie di motivi. Secondo il giudice di primo grado la scrittura privata del 1983, di cui si chiedeva l'esecuzione, era solo una bozza di un futuro preliminare; il successivo preliminare del 1984, non era mai stato adempiuto ed aveva perso efficacia. Il diritto a chiedere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre era ormai prescritto a causa dello spirare del termine decennale; l'interessato non aveva fornito alcuna prova relativa all'intervenuta interruzione della prescrizione per cui il contratto non poteva essere azionato giudizialmente. E non finisce qui! Il Tribunale evidenzia che il contratto aveva ad oggetto una quota indivisa di un bene comune per cui, a cascata, seguivano due conseguenze: l'interessato, prima di chiedere l'adempimento in forma specifica ex art. 2932 cod. civ.., avrebbe dovuto chiedere ed ottenere lo scioglimento della comunione; poiché il preliminare era stato sottoscritto solo da uno dei due comproprietari, il contratto era comunque invalido.

La Corte d'Appello rincara la dose
Il giudice d'appello conferma il verdetto di primo grado. La scrittura privata di cui si chiedeva l'esecuzione giudizio non poteva essere considerata come una compravendita ma solo una semplice bozza di preliminare a cui non era stata data esecuzione. Tale circostanza era avvalorata da un dato di fatto: dopo la stipula del contratto, le parti avevano stipulato un'altra scrittura di analogo contenuto, il che dimostrava inequivocabilmente che, in realtà, con il primo contratto, non avevano inteso trasferire la proprietà (diversamente non avrebbe avuto senso perfezionare un ulteriore contratto successivo). Considerando che l'attore godeva del bene pur in assenza del trasferimento della proprietà, la Corte condanna l'attore al pagamento dell'indennità di occupazione per il periodo di tempo compreso tra la data di proposizione della domanda e la data della sentenza (pari a euro 39.000) e di una ulteriore somma mensile (pari ad euro 250).
Arriva il ricorso in Cassazione: il possesso fornisce la prova del trasferimento
L'attore affila le armi e propone ricorso in Cassazione sfoderando le proprie argomentazioni. La parte non condivide l'interpretazione del Tribunale e della Corte che avevano qualificato il contratto come un mero preliminare e non come un atto di trasferimento della proprietà. Si lamenta perché il giudice avrebbe omesso di dare il giusto peso al contenuto letterale del contratto con cui le parti si erano reciprocamente impegnate a vendere e ad acquistare l'immobile. Sottolinea, inoltre, che il contratto prevedeva il trasferimento del possesso dell'immobile e, in adempimento a tale clausola, la parte abitava l'immobile in maniera indisturbata con i componenti delle propria famiglia. Tale circostanza doveva essere considerata come prova della inequivocabile volontà delle parti di trasferire la proprietà del bene e, soprattutto, di dare piena esecuzione al contratto.

Spetta al giudice di merito indagare la volontà delle parti
La Sez. II della Cassazione, con l'ordinanza n. 8638 del maggio 2020 respinge la tesi del ricorrente non perché non sia fondata ma... per questioni procedurali. Per costante giurisprudenza, l'interpretazione del contratto è un accertamento di fatto che rimane riservato alle competenze del giudice di merito. Spetta al giudice di merito (e non alla Cassazione) valutare se l'accordo raggiunto dalle parti sia un preliminare - ovvero un documento con funzione meramente preparatoria di un atto futuro - o un contratto definitivo. Sempre al giudice di merito spetta il compito di ricostruire la volontà delle parti, tenendo conto sia del contenuto letterale del contratto che del loro comportamento sia in fase precontrattuale che in fase successiva alla conclusione della scrittura e, fatti questi accertamenti preliminari, qualificare il contratto come preliminare o definitivo. A quanto pare il ricorrente scivola sulla classica buccia di banana; la Cassazione respinge l'interpretazione fornita dalla parte non perché errata, ma solo per questioni procedurali.

Per il giudice di merito si tratta di un preliminare
Nel caso in esame i giudici di merito sono andati oltre le espressioni letterali contenute nel contratto e hanno ritenuto che la scrittura di cui si chiedeva l'adempimento costituiva solo un passaggio procedimentale in vista della successiva conclusione del vero e proprio preliminare. In altre parole, hanno qualificato il contratto come un "preliminare di preliminare" ossia un accordo in virtù del quale le parti si obbligano reciprocamente a concludere un successivo contratto.

Legittimo il preliminare di preliminare
La Cassazione conferma la legittimità del preliminare di preliminare che non può essere considerato nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La decisione segue il solco tracciato dalla Cassazione (Sez. VI) con l'ordinanza del 20 marzo 2019, n. 7868. Nel caso in esame le parti, a prescindere dal contenuto letterale del contratto (che parlava di vendita dell'immobile) e dall'avvenuta consegna del bene, avevano posto in essere una serie di contratti manifestando come il loro intento non fosse quello di trasferire immediatamente la proprietà del bene, bensì di obbligarsi a farlo.

Prescritto il preliminare, il bene va restituito
Stabilito che il contratto di cui si chiede l'esecuzione non è un contratto definitivo capace di trasferire la proprietà dell'immobile e che il contratto preliminare ha perso ormai efficacia per il decorso del termine decennale, occorre stabilire quali siano le conseguenze. E' evidente che la prescrizione del contratto preliminare trascina il diritto al trasferimento della proprietà dell'immobile con conseguente obbligo di riconsegnare il bene al legittimo proprietario.
Secondo la Corte d'appello il detentore dell'immobile, oltre a restituire l'immobile, avrebbe dovuto versare al proprietario una indennità per illegittima detenzione del bene. Indennità determinata dalla Corte in relazione al periodo intercorrente tra l'atto di citazione e la riconsegna dell'immobile. Si potrebbe argomentare, in proposito, che l'indennità avrebbe dovuto essere corrisposta per il diverso e più lungo periodo intercorrente tra la scadenza del primo preliminare (del 1983, verificatasi nel 1993) e la data di riconsegna.

L'indennità non è dovuta
La Cassazione sconfessa la Corte d'appello: l'indennità non è dovuta. Nella promessa di vendita, quando si conviene che la consegna avvenga prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi del possesso (che viene trasferito solo con il trasferimento della proprietà del bene), bensì si verifica un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori (Cass., Sez. Unite, sent. n. 7930/2008). Pertanto, in caso di sopravvenuta inefficacia del contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto alla stipulazione del contratto definitivo, ciò comporta, per il promesso acquirente che abbia ottenuto dal promesso venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa, l'obbligo di restituzione e non un'obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene.

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