Condominio

Tassa rifiuti al buio su incassi e regole: il 75% delle città ferma le cartelle

I problemi sono sorti con l’avvio della regolazione indipendente e del metodo tariffario disciplinato da Arera.

di Gianni Trovati

Il coronavirus mette in crisi tutte le entrate dei Comuni, ma sembra accanirsi soprattutto sulla Tari. Che viene messa in ginocchio in realtà da due fattori. Il primo è congiunturale, perché è ovviamente complicato presentare il conto della tariffa rifiuti a un negozio o a un’impresa chiusi da settimane per il lockdown. Ma il blocco delle attività economiche, e qui interviene il problema più strutturale, è arrivato nei mesi del debutto della «nuova Tari», con l’avvio della regolazione indipendente e del metodo tariffario disciplinato da Arera. Due sfide troppo grosse da affrontare insieme: almeno a giudicare dal caos che sta emergendo.

Il monitoraggio Anci
Un primo segnale arriva dal monitoraggio che l’Anci ha condottonei giorni scorsi sulla situazione dei capoluoghi: il 75% di loro ha di fatto sospeso gli avvisi di pagamento. La sospensione è generale, non riservata alle categorie in difficoltà, anche perché il distanziamento sociale ha ridotto al minimo l’attività amministrativa dei Comuni con lo smart working generalizzato.

Ma nel caso della Tari la «fase 2» è ancora più complicata da immaginare. E il problema non è limitato ai tanti settori economici che come alberghi, bar o ristoranti non avranno presto la liquidità per presentarsi alla cassa.

La manovra di maggio
L’ex decreto Aprile, trasformato dal calendario in maxi-manovra di maggio, potrebbe pensare a loro, ma non è chiaro come. L’Arera, in una segnalazione a governo e Parlamento (Sole 24 Ore del 29 aprile), ha annunciato l’arrivo di nuove misure regolatorie, ma ha anche chiesto al governo di rinforzare l’architettura normativa con due obiettivi. Primo: limitare al minimo, nei soli casi di difficoltà oggettive e «documentabili», l’applicazione della deroga prevista dal decreto Marzo che all’articolo 107 prevede la possibilità di confermare i piani tariffari del 2019 rimandando all’anno prossimo l’avvio delle nuove regole. Secondo: finanziare gli sconti per i settori più colpiti dalla crisi e permettere all’Autorità di istituire un sistema di perequazione dei costi per non far saltare tutto l’impianto.

Nei municipi
La mossa sta però creando parecchia agitazione nei Comuni. La prima ragione è nei numeri. Una prima stima dell’Authority indica in 400 milioni il fondo necessario a coprire gli sconti Tari, mentre i sindaci ipotizzano una perdita di gettito che nello scenario peggiore può superare i due miliardi. I calcoli Anci riguardano il complesso delle utenze. E bisogna considerare che la crisi insieme alle difficoltà d’incasso porta anche una riduzione dei costi, non solo nei centri turistici dove il servizio deve gestire una popolazione molto ridotta rispetto al solito ma in tutte le città, dove l’assenza di traffico e la chiusura del commercio alleggerisce il carico sulle aziende di igiene urbana.

Lo scontro con Arera
Ma sotto la cenere cova uno scontro a tutto campo con Arera. Per capirlo basta leggere la nota inviata al presidente dell’Anci Antonio Decaro da Andrea Gnassi, sindaco di Rimini che guida l’associazione in Emilia Romagna. Gnassi lamenta in pratica un’invasione di Arera nel campo dell’autonomia tributaria dei Comuni. E in modo speculare l’Authority, nella segnalazione a Governo e Parlamento, segnala nemmeno troppo fra le righe che le deroghe permesse dal decreto Marzo rischiano di alimentare una sorta di fuggi fuggi dei Comuni dalle regole del nuovo metodo tariffario.

La Tari si candida insomma ancora una volta a occupare il centro della scena del caos tributario, in un fisco locale colpito duramente dal coronavirus. La manovra di maggio darà ai Comuni un fondo da 3 miliardi, in linea con i 4,53 miliardi di calo di entrate stimato dal Def per tutti gli enti territoriali. Per i sindaci il rischio vale in realtà più di 8 miliardi. E la battaglia promette di essere lunga.

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