Condominio

Accusare falsamente l’amministratore è diffamazione, non diritto di critica

Per esercitarlo è necessario che i fatti contestati siano innanzitutto veri, e nel caso specifico non lo erano

di Edoardo Valentino

Una coppia di condomini, a seguito di una assemblea condominiale, inviava una raccomandata agli altri comproprietari nella quale contestava la gestione dello stabile da parte di una società di amministrazione e affermava che i soci «gestivano male i soldi del condominio, distraendoli per viaggi all'estero e non pagavano le fatture».

La querela
I soci della società di amministrazione proponevano, quindi, querela per diffamazione, costituendosi nel giudizio penale come parti civili per ottenere un equo risarcimento per la lesione della propria reputazione. Il Giudice di pace, investito della decisione, condannava gli imputati per il reato di diffamazione ai sensi dell'articolo 595 del Codice penale.La norma prevede infatti, ai primi due commi, che «chiunque comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro».

I motivi del ricorso alla Suprema corte
Il Tribunale, a cui i condannati si erano rivolti in sede di appello, confermav a la decisione del primo giudice. Gli imputati, quindi, agivano in Cassazione, depositando un ricorso incentrato su quattro motivi. I primi tre motivi, riguardanti presunte carenze di motivazione nella sentenza pronunciata dal primo giudice, venivano subito rigettati. La Cassazione, difatti, evidenziava come a far data dall'approvazione del Decreto legislativo 6 febbraio 2018 numero 11, la critica delle sentenze del Giudice di pace era limitata ai soli casi di cui all'articolo 606 comma I, lettere a), b) e c).

Il caso della carenza di motivazione, previsto dall'articolo 606 comma I lettera e), risultava quindi escluso dai motivi di impugnazione delle sentenze del giudice di pace e, conseguentemente, la censura della sentenza impugnata doveva essere considerata parzialmente inammissibile.

Il quarto motivo
Sebbene anch'esso parzialmente incentrato su un presunto vizio di motivazione (che di per sé avrebbe reso la censura inammissibile) il motivo non si esauriva in questoso, venendo ad integrare una critica sulla questione di diritto della sussistenza del diritto di critica. Con la sentenza Cassazione sezione V penale, 10 aprile 2020, numero 11913, la Suprema corte rigettava anche il quarto motivo di diritto.

Il diritto di critica ed i requisiti
I condannati, difatti, avevano affermato l'assenza della consumazione del reato di diffamazione in quanto le loro affermazioni sarebbero state coperte dal diritto di critica.
Questa scriminante prevede che l'imputato non sia colpevole se il fine ultimo delle proprie affermazioni non fosse stato quello di offendere la reputazione della vittima, ma di criticarne legittimamente l'operato.

L’articolo 51 del Codice penale specifica al I comma che «l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità».

La verità dei fatti
Ricordava la Cassazione, tuttavia, come per la sussistenza di questa scriminante occorre che il giudice accerti la presenza di tre requisiti della notizia ossia la sua verità, l'interesse alla notizia stessa e la continenza ( Cassazione penale sezione V, 19 ottobre 2012, numero 45014).

In questo caso, tuttavia, le circostanze riportate, ossia che gli amministratori stessero distraendo i fondi condominiali per utilizzarli per spese proprie, era del tutto falsa e, conseguentemente, gli autori non potevano pretendere l'applicazione della scriminante del diritto di critica.

La discriminante tra un legittimo esercizio del diritto di critica e una diffamazione della vittima risiede, appunto, nella verità del fatto storico riportato a monte della elaborazione critica della notizia (Cassazione penale sezione V, 17 novembre 2017, numero 272432).Il ricorso, quindi, veniva dichiarato inammissibile e la condanna dei diffamatori veniva confermata anche dalla Cassazione.

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