Condominio

Il regolamento condominiale contrattuale può essere più rigoroso delle norme di legge

Rigettato il ricorso di una condomina contro lo stop dell’assemblea all’apertura, sul pianerottolo comune, di una nuova porta per l’ingresso nel suo appartamento

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di Eugenia Parisi

In tema di condominio negli edifici, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino e le relative innovazioni sono soggette, ai sensi degli articoli 1102 e 1122 del Codice civile, al duplice divieto di non alterarne la destinazione e d'impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto; in generale, tra questi due limiti, quello che riguarda il divieto di alterazione della destinazione è in posizione di preminenza, potendosi salvaguardare gli interessi degli altri condomini solo con il rispetto della destinazione della cosa comune.

Ciò nonostante, il regolamento condominiale – se di origine contrattuale – può derogare alle norme codicistiche, come ribadito di recente dalla sentenza della Corte d'Appello di Milano, n. 651/2020, che ha rigettato - anche in secondo grado – l'impugnazione assembleare avanzata da una condomina, a cui era stato negato il permesso di apertura di una nuova porta per l'ingresso nel suo appartamento da collocarsi sul pianerottolo comune.

La fattispecie in esame
In sostanza, l'attrice ha dedotto l'illegittimità e/o invalidità della delibera sulla base del fatto che questo nuovo ingresso avrebbe costituito una semplice modificazione della parte comune condominiale, senza però alterarne affatto la destinazione, in assenza di alcun pregiudizio alla staticità dell'edificio ed al decoro architettonico e, contemporaneamente, non si impediva l'uso della cosa comune da parte degli altri condomini, riportandosi alla disciplina degli articoli 1102 e 1122 del Codice civile.

I divieti del regolamento condominiale
Nel caso di specie, è stata rilevata la presenza di un regolamento condominiale contrattuale che – testualmente - nei confronti dei condomini e i loro aventi causa, «fa divieto di apportare modifiche che possano avere un qualsiasi effetto sulle strutture in cemento armato, sui muri perimetrali e, in genere, sui muri portanti dello stabile, ovvero su parti comuni e di manomettere manufatti ed in genere ogni apparecchiatura situata nelle parti comuni; di effettuare comunque modificazioni che possano comportare molestie acustiche o di altra natura, con particolare riguardo alla pavimentazione; di apportare modifiche alle diramazioni da impianti comuni situati all'interno delle unità immobiliari, senza la preventiva autorizzazione dell'amministratore, ovvero di usare questi impianti in maniera difforme dalle norme prescritte dai fornitori o dall'amministratore e, comunque, in modo da danneggiare gli altri utenti».

La pronuncia della Cassazione
Per questo, il giudicante ha dovuto esaminare il rapporto tra la previsione regolamentare e la norma del Codice, per verificare se effettivamente il dettato regolamentare fosse talmente generico da impedire la rappresentazione delle opere vietate, considerandone la nullità; a questo scopo, è stata richiamata la sentenza della Cassazione n. 2114/2018 secondo cui: «l'articolo 1102 del Codice civile, nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso, non pone una norma inderogabile;quindi, i limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni».

Le motivazioni della sentenza
La norma regolamentare, contrariamente a quanto affermato dall'attrice, fornisce una chiara rappresentazione dei divieti stabiliti nell'interesse generale di tutti i condòmini e si riferisce evidentemente ad ogni opera che, anche qualora non alteri l'essenza della cosa comune o il suo aspetto funzionale, tuttavia ne comporti un'alterazione dello stato di fatto che i condomini hanno dimostrato di volere preservare; ovviamente l'alterazione va valutata nei suoi connotati di apprezzabilità e, nel caso di specie, è palese che un varco nel pianerottolo sia un'opera di per sé significativa ed apprezzabile, sia per la sua visibilità, sia per il suo uso.

Nel dettato regolamentare vanno ricompresi infatti non solo i muri perimetrali cioè quelli che - secondo la sentenza della Cassazione Civile n. 11288/2018 – delimitano la superficie coperta dell'edificio unitariamente considerato e la sua consistenza volumetrica, delineandone la sagoma architettonica, ma anche quelli che – anche se non perimetrali – hanno funzione strutturale e portante nel complesso dell'edificio.

Tra l’altro, l'appellante non solo non ha provato, ma nemmeno ha allegato quali potrebbero essere state le ingiuste limitazioni del proprio diritto di proprietà, qualora l'apertura della porta sulle mura delimitanti il pianerottolo condominiale non fosse stata realizzata.

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