Condominio

Allo stalker che vive nello stesso caseggiato non si applica il divieto di dimora

Non può essere applicato il divieto di avvicinarsi a meno di 50 metri a chi abita nello stesso condominio: di fatto impedisce di rientrare in casa

di Patrizia Maciocchi

Nello stalking condominiale non può essere applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento, se questa si traduce nel divieto di rientrare in casa. La Cassazione (sentenza 3240/2020) accoglie il ricorso di un indagato per stalking e lesioni aggravate.

I fatti
Oggetto delle “attenzioni” del ricorrente era un vicino di casa insultato, anche a causa di una minorazione fisica, e, secondo l’accusa, in un’occasione aggredito fisicamente. Il Pm aveva disposto un divieto di avvicinamento alla persona offesa. Il Gip aveva inasprito la misura aggiungendo l’obbligo di mantenersi ad una distanza di 50 metri dall’edificio in cui abitava la presunta vittima.

La Suprema corte annulla, con rinvio, l’ordinanza, perché la misura comporta, di fatto, un divieto di dimora, tra l’altro, non richiesto dal Pm. I giudici del riesame, premesso che l’indagato abitava al piano sopra quello occupato dalla parte offesa, avevano osservato che la contiguità degli appartamenti avrebbe agevolato il reato. La soluzione stava, appunto, nel divieto di avvicinamento a 50 metri, in base all’articolo 282-ter del Codice di rito penale.

Scelta irrazionale
Una scelta fatta senza pensare, che questo comportava l’obbligo di abitare in un altro luogo: una misura diversa, che rientra nel raggio d’azione dell’articolo 283 del Codice di procedura penale. La Cassazione sottolinea la necessità di conciliare i diversi interessi in gioco: tutelare la persona offesa ma senza sacrificare ogni libertà del ricorrente. E nello specifico si trattava del diritto fondamentale di usare la propria abitazione.

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