Condominio

La manutenzione sicura della piscina condominiale

di Giulio Benedetti

L'art. 1117 c.c. non elenca espressamente la piscina tra le parti comuni dell'edificio e la sua condominialità non può essere ricavata dall'uso che ne fanno i condòmini. In particolare il carattere condominiale di tale bene deve essere rinvenuto dall'esame del titolo di acquisto del singolo appartamento , da altro titolo, o dal regolamento di condominio , redatto ai sensi dell'art. 1138 c.c., che la contempli , ne regoli l'esercizio, ne disciplini il riparto delle spese.

Cosa dice la Cassazione
La Corte di Cassazione (sent .n. 25841/2019) ha riconosciuto il carattere condominiale di una piscina in quanto una sentenza definitiva del tribunale aveva riconosciuto il suo diritto di uso da parte dei condòmini . La sentenza aveva approvato le nuove tabelle millesimali , dalle quali emergeva che tutti i condòmini dovevano provvedere alle sue spese, che rientravano nella disciplina del riparto delle spese inerenti le parti dei servizi comuni. Se pertanto la piscina è condominiale l'amministratore, per fare eseguire ai dipendenti o agli incaricati le attività di manutenzione, deve osservare le norme di sicurezza del lavoro previste dal Dlgs 81/2008.

Il reato dell’aministratore
La Cassazione (sentenza 39252/2019) ha rigettato il ricorso di un amministratore di un'attività “relax” , con annessa piscina contro la sentenza che lo aveva condannato per il reato di lesioni colpose gravi commesso con violazione della normativa di sicurezza sul lavoro. In particolare il condannato aveva incaricato un dipendente di compiere la manutenzione della piscina ( in particolare il cambio di lampadine nella vasca) , quando lo stesso cadeva dalla scala utilizzata e riportava una lesione grave.

La responsabilità del datore di lavoratore di lavoro consisteva nel non avere dotato il lavoratore di un'attrezzatura idonea a svolgere l'incarico e nel non averne valutato i rischi. La Corte di Cassazione rilevava che il ricorrente , rivestiva una posizione di garanzia del lavoratore e non tutelava , ai sensi dell'art. 2087 c.c., l'integrità psico – fisica del lavoratore, poichè non gli forniva l'attrezzatura necessaria per svolgere in sicurezza l'incarico affidatogli, in modo da evitare sdrucciolamenti e cadute a causa di superfici sommerse o bagnate.

Inoltre la Corte di Cassazione non rilevava l'abnormità del comportamento del lavoratore in occasione dell'infortunio , poiché lo stesso non era estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite , né costituiva una condotta avulsa da ogni ipotizzabile intervento o da una prevedibile scelta del lavoratore.

Non c’è «caso fortuito»
In ogni caso il giudice di legittimità precisava che, anche se detta ipotesi non ricorre nel caso esaminato, non sono riconducibili al caso fortuito gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore , poiché le prescrizioni poste a tutela dei lavoratori mirano a garantire la loro incolumità anche nell'ipotesi in cui , per stanchezza , imprudenza , inosservanza di situazioni, per malore o altro, essi si siano venuti a trovare in una situazione di particolare pericolo . Giulio Benedetti

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