Condominio

Non si ledono le linee architettoniche dello stabile

di Valeria Sibilio

Ledere l'insieme armonico delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali di un edificio condominiale significa apportare un danno all'estetica dello stabile, con un conseguente deprezzamento. Per la legge, qualsiasi innovazione deve rispettare l'aspetto originario della struttura, senza mutarne gli elementi caratteristici.
Affrontando questa questione, la Cassazione, nella sentenza 11229 del 2019, ha esaminato un caso originato dall'atto con il quale un condòmino citava a comparire, dinanzi al tribunale di Reggio Calabria, una serie di altrettanti condòmini, nonché il condominio stesso.
L'attore, proprietario sia dell'appartamento ubicato al quinto piano che del lastrico solare dello stabile condominiale, chiedeva che i convenuti fossero condannati a demolire la tettoia realizzata sul lastrico, in quanto lesiva del decoro architettonico dell'edificio e del diritto di superficie ad egli spettante, al ripristino dello stato originario ed al risarcimento dei danni sofferti oltre ad una indennità di sopraelevazione. Contro tale domanda, si costituivano condòmini e condominio, chiedendone il rigetto.
Il Tribunale accoglieva le domande attoree, compensando fino a concorrenza di un terzo le spese di lite e ponendo i residui due terzi a carico dei condòmini convenuti. In secondo grado, la Corte d'Appello dichiarava inammissibile il gravame proposto dai condòmini appellanti, precedentemente convenuti, condannandoli alle spese del grado, dando atto che tale gravame era stato notificato in data 12 luglio 2013, allorché sin dal 24 aprile 2013 era decorso il termine “breve” per proporre impugnazione ed esponendo che difettavano i presupposti per l'accoglimento delle istanze di “restituzione in termini” formulate.
Contro la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso, in Cassazione, una dei condòmini precedentemente appellanti, sulla base di due motivi, ai quali rispondeva l'attore con controricorso.
Con il primo motivo, la ricorrente deduceva che la Corte di merito non avesse espunto le note difensive tardivamente depositate dall'attore controricorrente e, riproducendo nella parte motiva della sentenza impugnata le stesse considerazioni giuridiche contenute nello scritto difensivo tardivamente depositato, aveva respinto l'istanza di rimessione in termini. Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva che, contrariamente a quanto affermato dalla corte distrettuale, ella aveva tempestivamente richiesto di essere rimessa in termini con le note depositate in data 31 marzo 2014, non appena acquisita la piena consapevolezza delle decadenze in cui era incolpevolmente incorsa.
Per la Cassazione, il primo motivo è stato ritenuto destituito di fondamento. Gli ermellini hanno rimarcato che, nella sentenza d'appello, la corte territoriale si era limitata ad enunciare il contenuto delle note depositate dal controricorrente in data 17 giugno 2014, senza fondare, su queste note, la sua decisione. È inammissibile l'impugnazione con la quale si lamenti un vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito. Ingiustificati anche gli assunti della ricorrente secondo cui la corte territoriale avrebbe trasfuso nel proprio elaborato le medesime massime giurisprudenziali utilizzate dal controricorrente nello scritto in esame. Se le pronunce giurisprudenziali sono appannaggio di tutti gli operatori del diritto, la corte non aveva bisogno di attingere, dalle note depositate il 17 giugno 2014, i riferimenti giurisprudenziali.
Anche il secondo motivo di ricorso è apparso, per la Suprema Corte, destituito di fondamento. La rimessione in termini, sia nella norma dettata dall'art. 184 bis cod. proc. civ. che in quella contenuta nell'art. 153, 2° co., cod. proc. civ., non può essere riferita ad un evento esterno al processo, impeditivo della costituzione della parte, quale la circostanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, in quanto attinente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato, che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo, e non spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte dichiarata contumace o comportare la revoca, in grado d'appello, di tale dichiarazione. L'appellante si era limitato a resistere all'eccezione di tardività dell'impugnazione sollevata, senza aver formalmente e tempestivamente richiesto di essere rimesso in termini. Per cui, non può dolersi della declaratoria di inammissibilità dell'appello, deducendo, con il ricorso per cassazione, la violazione della disciplina della rimessione in termini, in quanto quest'ultima presuppone la tempestività dell'iniziativa della parte.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente a rimborsare, al controricorrente, le spese di giudizio, liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, rigettando l'istanza ex art. 96 cod. proc. civ. formulata dal controricorrente.

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