Condominio

L’amministratore può agire contro un condòmino che sia anche inquilino del locale comune

di Selene Pascasi

Nei limiti delle sue attribuzioni, l'amministratore può attivarsi contro condòmini o terzi senza necessità di delibera assembleare che invece occorre ove promuova azioni esulanti la sua sfera di competenza. Lo ribadisce il tribunale di Savona, con sentenza n. 401 dell'11 aprile 2018 . È un amministratore a citare una condomina chiedendo il rilascio dell'appartamento occupato. La signora, spiega, viveva nel locale a pianterreno dove un tempo – prima che i condòmini si staccassero dal riscaldamento condominiale – erano contenuti i contatori per il computo del consumo, le tubazioni ed alcune parti dell'impianto. Pronta, la difesa della donna: dell'intero piano e, dunque, anche del locale abitato, era proprietaria e comunque possessore. Peraltro, aggiunge, l'amministratore non era legittimato a promuovere quel giudizio. Non è così per il giudice ligure che ne “sana” la posizione dell'amministratore bocciandone, però, la richiesta. È vero, premette, che secondo l'articolo 1131 del Codice civile, egli può agire sia nei confronti dei condòmini che verso terzi e senza previa delibera assembleare purché si muova nei limiti delle attribuzioni previste dall'articolo 1130 del Codice civile.
Ed è anche vero, prosegue il tribunale, che per la giurisprudenza prevalente in quell'alveo non rientrano le azioni reali, non potendosi ritenere degli atti conservativi come confermato dalle norme che, nel menzionarli, escludono che fra essi siano comprese le azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui gli atti si riferiscono. Ipotesi in cui, trattandosi di rappresentanza estranea alla sfera delle attribuzioni dell'amministratore, occorre un'apposita investitura deliberata dall'assemblea dei condòmini e approvata dalla maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (Cassazione civile 2570/2016).
Ciò, però, non vuol dire che possa accogliersi la tesi della signora per la quale sarebbe stato persino necessario – vertendosi in punto di pretese concernenti l'affermazione di diritti di proprietà – un mandato da parte di ogni condomino, non essendo sufficiente la delibera condominiale idonea ad attribuire la legittimazione processuale ma non quella sostanziale. Del resto, un tale ragionamento potrebbe essere seguito solo per azioni tese ad estendere i diritti spettanti ai condòmini in virtù dei rispettivi acquisti, diritti che restano nell'esclusiva disponibilità dei titolari. Situazione ben diversa da quella processuale avendo il condominio rivendicato un bene di cui sarebbe stato già proprietario. Non vi era, in sintesi, alcuna estensione dei diritti di comproprietà dei condòmini ma un mero far valere la titolarità di un diritto.
Ecco che, essendosi l'amministratore munito di delibere specifiche, era senza dubbio legittimato ad attivarsi. Tuttavia, la domanda avanzata nell'interesse del condominio non poteva accogliersi non risultando dimostrata la proprietà comune del pianterreno. Per quel locale, in buona sostanza, non poteva applicarsi una presunzione di condominialità nonostante per l'articolo 1117 del Codice civile rientrasse tra i beni comuni vista l'addotta destinazione a vano riscaldamento centrale. Anche al riguardo, mancava la prova (essenziale per Cassazione 14796/2017) che fosse stato realmente a ciò destinato fin dalla costituzione del condominio. Salvo, per queste ragioni, il diritto della signora ad abitare per il futuro il suo appartamento.

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