Condominio

Usucapione e distanze / 1. Le regole della Cassazione

di Valeria Sbilio


Ai fini del diritto di veduta, ovvero del diritto del proprietario di un fondo di affacciarsi e godere della vista senza incontrare ostacoli prima di una certa distanza, nella valutazione di quest'ultima, si deve fare riferimento all'interesse del proprietario dell'edificio frontistante, che non può essere obbligato a costruire a distanze variabili, tenendo anche conto della linea spezzata del fronte dell'edificio preveniente. Lo ha chiarito la Cassazione nell'ordinanza 27056 del 2018 nella quale ha esaminato un caso originato da un atto notificato dalla proprietaria di un fabbricato nel quale lamentava che i proprietari dei beni confinanti avevano costruito un fabbricato in aderenza, usufruendo del muro portante dell'attrice, senza averne chiesta, né pagata la comunione e ponendone in pericolo la staticità.
Chiedeva di dichiarare l'illegittimità delle costruzioni effettuate dai convenuti ed immesse nel muro di sua esclusiva proprietà e, in particolare, della scala con strutture di cemento e con ferri nel muro portante di esclusiva proprietà dell'attrice e condannare i convenuti al relativo abbattimento, nonché ad eliminare il cancelletto di ferro che apriva su proprietà esclusiva dell'attrice, ad eliminare le finestre di affaccio sul suo terreno ed all'estirpazione del pino posto a distanza non legale dalla sua proprietà, oltre al risarcimento dei danni. I convenuti si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande dell'attrice, spiegando domanda riconvenzionale per il riconoscimento dell'intervenuto acquisto per usucapione del diritto di comunione del muro, almeno fino all'altezza del piano rialzato del fabbricato, e per l'eventuale costituzione della comunione forzosa del tratto di muro in corrispondenza del primo piano sopraelevato, determinando la relativa indennità.
I convenuti chiedevano, inoltre, la condanna dell'attrice ad eliminare una serie di ulteriori abusi, quali la realizzazione del nuovo fabbricato senza il rispetto delle distanze legali, l'occupazione con la nuova costruzione, per due lati, di parte del cortile comune, la violazione delle distanze per il balcone a livello del solaio di copertura del fabbricato, l'occupazione del balcone al piano rialzato di parte del cortile comune, l'esercizio da detto balcone di veduta laterale ed obliqua a distanza minore di quella prevista dall'art. 906 c.c., la presenza nei balconi del fabbricato di “colini” che riversavano acqua piovana nel cortile comune, la realizzazione di una veranda con limitazione di aria e luce al sottostante cortile comune, l'utilizzo di stenditoi sporgenti dai balconi con stillicidio sul sottostante cortile comune, la costruzione di un pilastrino in mattoni e di un pilastrino in ferro nel cortile comune che intralciavano il libero passaggio, l'apertura al secondo piano di una luce priva dei requisiti previsti dall'art. 901 c.c. e l'apertura di vedute laterali sulla parete nord del fabbricato a distanza non legale.
Il Tribunale di Primo Grado, dopo aver espletato la perizia, accoglieva la domanda dell'attrice, condannando la proprietaria del bene confinante a corrisponderle la somma di euro 330,00 oltre rivalutazione dall'aprile 2000 ed interessi dal 3.11.1993 a titolo di indennità di comunione ed a ridurre l'apertura del cancelletto di cm 10. Rigettava la richiesta dell'attrice di eliminare le finestre di affaccio realizzate dalla convenuta sulla parete nord e la domanda riguardante l'eliminazione del pino posto all'interno del cortile di proprietà confinante, condannandola a ridurre il balcone al piano rialzato per la parte che occupa il viottolo di accesso comune. Rigettava la domanda avanzata in via riconvenzionale dalla convenuta inerente la distanza dei fabbricati. Il Tribunale rigettava i punti riguardanti le vedute oblique dal balcone del piano rialzato, l'affaccio dai lastrici solari, le vedute dai piani superiori dell'edificio dell'attrice, la veranda apposta al balcone al primo piano, la servitù di scolo, il pilastrino e il paletto di ferro, accogliendo il punto di domanda riconvenzionale riguardante la finestra-luce aperta al secondo piano e condannando l'attrice ad adeguarla ai requisiti prescritti dall'art. 901 c.c., compensando integralmente le spese del giudizio.
Contro questa sentenza proponevano appello gli eredi della proprietaria del bene confinante nei confronti degli eredi dell'attrice. La Corte d'Appello accoglieva parzialmente l'appello principale limitatamente ai motivi quarto e sesto e condannava gli appellati a eliminare le vedute laterali esercitate dalle finestre situate lungo la parete nord del fabbricato dell'attrice, poste a distanza inferiore a 73 cm dal confine con la proprietà confinante e alla rimozione degli stenditoi sporgenti dai balconi del fabbricato di loro proprietà. Accoglieva parzialmente l'appello incidentale precisando che la luce finestra aperta dall'attrice doveva essere adeguata ai requisiti prescritti dal n. 1) dell'art. 901 c.c. e compensava per metà le spese del giudizio d'appello, condannando gli appellanti principali al pagamento in favore degli appellati costituiti della restante metà delle spese di lite. Avverso questa sentenza proponevano ricorso gli eredi della proprietaria del bene confinante sulla base di un motivo al quale resistevano, con controricorso, gli eredi dell'attrice.
Con l'unico motivo, i ricorrenti osservavano che la CTU aveva accertato che la distanza tra il filo esterno del balcone di parte convenuta e il fabbricato dell'attrice era determinato in metri lineari 9,00, mentre la distanza tra i due fabbricati, inglobando anche la larghezza del balcone di proprietà della convenuta, era di m. 10,53. Tuttavia, il Tribunale non aveva tenuto conto che, nell'ipotesi di edificio dotato di oggetti che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati nell'immobile come balconate, gli stessi debbano essere considerati nella misurazione, ai fini dell'accertamento del rispetto della normativa sulle distanze. Un motivo risultato, dagli ermellini, non fondato. La sentenza di primo grado era stata oggetto di specifico motivo di gravame nella parte in cui aveva ritenuto insussistente la violazione, compiuta dai danti causa dei resistenti, delle distanze legali previste dall'art. 9 del D.M. n. 1444/1968, in quanto il Giudicante non aveva considerato la II integrazione di CTU, dalla quale risultava invece che la distanza tra il muro perimetrale del fabbricato dell'attrice e lo sporto della balconata di proprietà della convenuta, è di metri lineari 9. La Corte d'appello aveva rigettato tale motivo di gravame, in quanto dalla CTU risultava che l'attrice, a metà degli anni '80, aveva realizzato, previa demolizione e ricostruzione di un vecchio fabbricato preesistente, un nuovo edificio nel rispetto della stessa sagoma di pianta, ma con demolizione della preesistente scala esterna in muratura a ridosso della adiacente proprietà e realizzazione, in parziale sostituzione, di una balconata al piano rialzato. Adiacente a tale fabbricato insisteva lungo il lato est l'edificio della convenuta che si sviluppa a forma di “elle”, con la presenza nella parete di sviluppo di un balcone al piano rialzato. La Corte di merito osservava che, nel caso di specie, come desumibile dalla planimetrie allegate, il nuovo fabbricato realizzato dall'attrice sulla medesima sagoma in pianta del precedente era, come il precedente, in aderenza al confine est del fabbricato della convenuta e poiché tale parete era stata resa comune da quest'ultima, non risultava affatto rilevante la misurazione della distanza di tale parete comune. Trattandosi di muro comune di fabbriche in aderenza, non doveva rispettare alcuna distanza e la ricostruzione di un manufatto non integra neppure nuova costruzione, ai fini dell'applicabilità delle disposizioni in tema di distanze.
Per la Suprema Corte, nella valutazione delle distanze dal confine, anche ai fini del diritto di veduta, si deve fare riferimento all'interesse del proprietario dell'edificio frontistante, che non può essere obbligato a costruire a distanze variabili, che tengano conto della linea spezzata del fronte dell'edificio preveniente (Cass. n. 7762 del 1999; Cass. n. 14077 del 2003; Cass. n. 21059 del 2009; Cass. n. 11685 del 2018). Qualora la decisione di merito si fondi, come nella specie, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure rende inammissibili, per difetto di interesse, quelle relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa.
Gli ermellini hanno, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

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