Condominio

Balcone da demolire, così i termini del ricorso se la parte è deceduta

di Valeria Sibilio

La Cassazione, nell'ordinanza n°19494 del 2018 (relatore Antonio Scarpa) , ha esaminato un caso nel quale una coppia di condòmini – eredi dell'attrice precedentemente ricorrente - proponeva ricorso, articolato in due motivi, contro la sentenza n. 755/2014 della Corte d’appello la quale, pronunciandosi sull'appello formulato da due ulteriori attori contro la sentenza resa in primo grado, confermava la pronuncia del Tribunale, volta a condannarli a demolire il terrazzino di loro proprietà realizzato in violazione della distanza ex art. 905 c.c. dalla proprietà dell'attrice, a spostare la ringhiera per evitare la veduta ed a chiudere una porta di accesso, subordinando tuttavia tale riduzione in pristino alla mancata adozione da parte degli appellanti, entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, degli accorgimenti idonei a precludere affaccio e veduta verso la suddetta proprietà.
Nel primo motivo del ricorso si evidenziava come il terrazzino fosse stato realizzato ad una distanza di cm. 92 dal confine, senza perciò osservare l'art. 905 c.c.
Il secondo motivo di ricorso allegava la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo”, per il condizionamento della condanna imposto dalla Corte d'Appello alla mancata installazione sul terrazzino di ripari fissi dell'altezza di metri 2, in violazione della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato. I ricorrenti hanno espressamente allegato che la sentenza impugnata, pubblicata l'8 maggio 2014, fosse stata loro notificata il 18 luglio 2014, pur limitandosi a produrre una copia autentica della stessa, priva della relata di notificazione (cfr. art. 369, comma 1 e comma 2, n. 2, c.p.c.). Va esclusa la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., essendo comunque la previsione di tale onere di deposito funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione della tempestività dell'esercizio del diritto di impugnazione, il quale, di regola, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l'osservanza del cosiddetto termine breve.
Nel caso in questione, la sentenza della Corte d'Appello risulta notificata in data 18 luglio 2014, segnando il riscontro della tempestività dell'impugnazione del rispetto del termine breve di impugnazione ex art. 325, comma 2, c.p.c., essendo stato il ricorso notificato il 23 dicembre 2014 a fronte della notificazione della sentenza eseguita il 18 luglio 2014.
È stato tuttavia dedotto dai ricorrenti, e documentato mediante produzione del certificato di morte, che l'attrice fosse deceduta il 4 agosto 2014. Verificatasi la morte della parte dopo la notificazione della sentenza, i termini per impugnare sono disciplinati esclusivamente dall'art. 328 c.p.c., secondo cui il termine per impugnare è interrotto e il nuovo termine decorre dal giorno in cui è rinnovata la notificazione della sentenza.
Qualora manchi tale rinnovazione l'impugnazione deve essere proposta nel termine previsto dall'art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza e non dall'evento interruttivo, prevedendo l'art. 328, comma 3, c.p.c. una proroga di sei mesi dal giorno dell'evento per il solo caso che questo intervenga dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (così Cass. Sez. 1, 29/09/1999, n. 10789; Cass. Sez. 1, 22/10/2008, n. 25583). Pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima alla parte defunta durante la decorrenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c., il ricorso per cassazione deve, pertanto, egualmente ritenersi procedibile, ove risulti che la sua notificazione si sia poi perfezionata, in mancanza di rinnovazione della notificazione della sentenza, ai sensi dell'art. 328, comma 1, c.p.c., entro il termine previsto dall'art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza.
I due motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per la loro connessione, si sono rivelano inammissibili.
Allorquando il soccombente nel giudizio in tema di distanze per l'apertura di vedute impugni la sentenza del giudice di merito che lo abbia condannato alla demolizione dei propri balconi realizzati a confine in violazione dell'art. 905 c.c., deducendo che fosse sufficiente, ai fini del rispetto delle predette distanze, l'adozione di diversi specifici accorgimenti, deve affermarsi che l'eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo mediante la demolizione delle porzioni immobiliari per mezzo delle quali si realizza la violazione di legge lamentata, ma anche attraverso la predisposizione di idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui, come l'arretramento del parapetto o l'apposizione di idonei pannelli che rendano impossibile il prospicere e l'inspicere in alienum. Perché il giudice disponga, in alternativa alla demolizione, l'esecuzione degli idonei accorgimenti di cui si è detto, è unicamente necessario (come avvenuto nella specie ad opera degli appellanti) che la parte interessata chieda al giudice stesso l'esercizio di tale potere. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile anche perché, nel vigore del nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, da indicare in ricorso nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
La Cassazione ha, perciò, dichiarato inammissibile il ricorso, condannando i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio, liquidate in euro 2.400,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, oltre al versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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