Condominio

Servitù di veduta e scolo, serve sempre l’atto originario

di Valeria Sibilio

L'ordinanza della Cassazione n° 8000 del 2018 ha esaminato un caso originato dalla controversia instaurata, in primo grado, da un condominio nei confronti di due condòmini. Il Tribunale, accertata la non conformità di una finestra, ancora esistente sul retro dell'immobile di proprietà dei convenuti e del sottostante foro di aerazione, alle prescrizioni relative alle aperture del secondo Lotto verso il cortile del terzo Lotto contenute nell'atto di ratifica 28/9/1891, ordinava ai convenuti il tamponamento del vano finestra e del suddetto foro di aerazione, alla stregua delle modalità tecniche indicate nella relazione della perizia.
Il Tribunale, accertato che la sopraelevazione, rispetto alla quota originaria del tetto dell'edificio di proprietà dei convenuti, determinava, per il cortile del condominio attore, una riduzione di luce nella misura del 15%, ordinava ai medesimi la riduzione dell'intervento nei limiti volti a garantire l'originaria fruizione. Venivano rigettate le domande risarcitorie avanzate nell'interesse del Condominio e la domanda riconvenzionale formulata dai convenuti che venivano anche condannati alla rifusione delle spese di lite.
Decidendo sull'appello proposto dai soccombenti convenuti, la Corte li condannava al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, in quanto ravvisava l'infondatezza delle loro doglianze attinenti al merito delle pretese avverse accolte con la decisione di prime cure, sulla scorta sia della corretta interpretazione, da parte del Tribunale, dell'atto di divisione del 1981 - con riferimento all'individuazione della sussistenza di due servitù (di gronda e di veduta) a carico del lotto di pertinenza del Condominio (terzo lotto) - sia della ritenuta opponibilità nei confronti degli stessi appellanti del patto istitutivo delle servitù, sia della rilevata illegittimità, nei limiti statuiti, della realizzata sopraelevazione.
Contro la sentenza di appello, i due condòmini proponevano ricorso per Cassazione, presupponendo che la Corte avesse errato nel considerare come opponibile ad essi ricorrenti la condizione risolutiva della servitù di veduta e scolo che il giudice di primo grado aveva supposto essere contenuta nell'atto di divisione del 28/9/1891, omettendo, però, di statuire sulla richiesta di verificare se tale condizione risolutiva fosse stata inserita anche nelle note di trascrizione relative ai trasferimenti del fondo dominante onde consentire ai titolari di conoscere le eventuali cause di estinzione della predetta servitù. Inoltre, asserivano che, diversamente da quanto statuito dalla Corte di appello, non avevano apportato alcuna modifica a loro esclusivo vantaggio sul muro comune ma lo avevano semplicemente innalzato come era loro diritto, senza che fosse stato raggiunto alcun accordo tale da impedire una sopraelevazione né che fosse emersa una violazione in materia di distanze.
Per la Cassazione i motivi sono risultati fondati in quanto, con riferimento alla prima censura, i ricorrenti avevano inteso confutare la sentenza impugnata nella parte in cui con essa era stata sancita l'opponibilità, nei loro confronti, della condizione risolutiva della servitù di veduta e di scolo prevista nell'atto costitutivo consistente nel richiamato atto divisionale del 1891, a favore del fondo di cui essi erano successivamente divenuti titolari ed in danno del fondo confinante di proprietà del condominio, malgrado la stessa condizione non fosse risultata menzionata nelle note di trascrizione degli atti di acquisto. In particolare, la doglianza attinge la decisione di appello nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto priva di rilevanza la circostanza del mancato rinvenimento del supporto cartaceo relativo alla nota di trascrizione del suddetto atto originario, sul presupposto dell'operatività della presunzione che il notaio rogante del 1891 avesse provveduto a tanto in conformità ad un obbligo di legge e che, in ogni caso, risultava sufficiente che si fosse proceduto effettivamente all'adempimento della trascrizione, potendo il relativo contenuto essere accertato anche giudizialmente. Per gli ermellini, tale ricostruzione incorre nella violazione delle richiamate norme codicistiche, poiché per stabilire se, ed in quali limiti, un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza margini di equivoci e di incertezza, gli estremi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce, nonché l'essenza, la natura ed i dati caratterizzanti del diritto trasferito o costituito, restando esclusa ogni possibilità di attingere elementi dai titoli presentati e depositati con la nota anzidetta, o, tanto meno, da altri atti o dati a questa estranei. In particolare, in tema di servitù convenzionali, l'indagine sull'opponibilità della servitù ai terzi successivi acquirenti va condotta con esclusivo riguardo al contenuto della nota di trascrizione del contratto che della servitù integra il titolo. Per cui, l'opponibilità può essere ritenuta solo quando dalla nota cennata è possibile desumere l'indicazione dei fondo dominante e di quello servente, la volontà delle parti di costituire una servitù, nonché l'oggetto e la portata del diritto, anche con riguardo all'eventuale sottoposizione della modifica o dell'estinzione del relativo diritto a termine o condizione. Non essendo stata, nel caso in questione, rinvenuta la nota di trascrizione dell'atto originario, la condizione risolutiva comportante l'estinzione del diritto di servitù di veduta e di scolo non era opponibile agli attuali ricorrenti.
Anche il secondo motivo formulato è risultato fondato. La domanda originariamente dedotta sul punto dal Condominio, oggi controricorrente, tendeva ad ottenere la dichiarazione di illegittimità della sopraelevazione per circa mt. 0,95 del manufatto di proprietà degli attuali ricorrenti rispetto alla quota originaria del tetto, in quanto comportante una limitazione ingiustificata del diritto del predetto Condominio di godere dell'aria e della luce garantite dal cortile interno fino alla realizzazione sopravvenuta del contestato innalzamento della falda. La Corte di appello, confermando anche su tale aspetto la statuizione del giudice di prime cure, ha svolto una ricostruzione non corretta in punto di diritto. La sopraelevazione del muro era stata autorizzata dal Comune senza presentare difformità rispetto ai regolamenti di rilevanza pubblicistica. Il muro comune divisorio può essere sopraelevato senza necessità di consenso dell'altro comproprietario perché la relativa facoltà, esercitabile ai sensi dell'art. 885 c.c., è svincolata dal regime normale della comunione e non trova alcuna restrizione nel citato art. 1102 c.c. In materia di distanze legali, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano, nell'ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini.
La Cassazione ha, perciò, accolto i motivi di ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa, anche per le spese della fase giudiziale di legittimità, ad un'altra Sezione della Corte di appello

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