Condominio

Pareti da abbattere: serve l’ok «statico»

di Augusto Cirla

Il diritto di proprietà su un’unità immobiliare in condominio va esercitato non solo in funzione dell’interesse individuale, ma anche in accordo con le esigenze di convivenza dovute alla sovrapposizione verticale o alla contiguità orizzontale delle unità immobiliari o delle parti comuni. In altri termini, l’acquisto di un appartamento in un condominio esige che il proprietario, nel godimento dell’immobile, tenga conto degli interessi riguardanti le proprietà altrui, nonché quelle condominiali.

La legge (articolo 1122 del Codice civile) vieta quindi al singolo condomino di eseguire nel suo appartamento opere che possano arrecare danno alle parti comuni. Motivo per cui occorre sempre informare l’amministratore prima di dar luogo a interventi in grado di determinare un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.

Abbattere in misura rilevante le pareti interne della propria unità immobiliare (anche non portanti) richiede una preventiva analisi statica dell’edificio: ancor più nell’ipotesi in cui altri appartamenti siano stati interessati da simili lavori.

Allo stesso modo, costituisce un’alterazione della cosa comune l’eventuale sostituzione del tetto con una diversa copertura (terrazza) che – pur non modificando la funzione originariamente svolta dal tetto stesso – dà al nuovo manufatto una destinazione a uso esclusivo dell’autore dell’opera.

L’amministratore, dopo essersi informato circa la tipologia di lavori che il condomino intende eseguire nella sua proprietà, deve poi sottoporre alla valutazione dell’assemblea la documentazione acquisita, qualora ritenga, dopo un pur sommario esame, che le nuove opere possano pregiudicare (magari mutandone anche la destinazione) le parti comuni dell’edificio.

Abuso e diffida

Se i lavori in programma risultano incidere negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i singoli condòmini possono, in primo luogo, diffidare l’esecutore e chiedere la convocazione dell’assemblea per inibire a quest’ultimo di procedere o per indurlo a modificare il progetto d’intervento.

E questa forma di tutela è prevista anche nel caso in cui le opere vadano a pregiudicare solo i vicini di casa: anch’essi sono legittimati a richiedere, in via autonoma, il risarcimento dei danni subiti, compresi quelli dovuti a immissioni di rumore o che, in genere, comportino una limitazione al pacifico uso del loro bene.

L’assemblea, invece, assume le delibere del caso con la maggioranza qualificata prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile: vale a dire con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti alla riunione che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio.

Ricorso al giudice di pace

Indipendentemente dall’assemblea, spetta però all’amministratore (articolo 1130, n. 4 del Codice)l’iniziativa per fare cessare l’abuso del bene comune.

Anche il singolo condomino è legittimato ad agire contro l’abuso del bene comune, qualora non vi provveda l’amministratore, poiché il condominio si configura come mero ente di gestione, in cui l’esistenza di un organo rappresentativo unitario (quale, appunto, l’amministratore) non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale.

La relativa azione dev’essere proposta davanti al giudice di pace del luogo in cui si trova il complesso condominiale, in quanto competente a decidere per le vertenze relative alla misura e all’uso dei beni e dei servizi comuni (articolo 7, n. 2, del Codice di procedura civile). Con la successiva sentenza, il giudice può quindi ordinare al condomino chiamato in giudizio di cessare l’abuso e risarcire eventualmente il danno causato.

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