Condominio

Chi ha la custodia dei beni condominiali?

di Giuseppe Màrando

La previsione dell'art. 2051 del codice civile (“ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”), applicata alla nostra materia, fa sorgere l'interrogativo se il “custode” delle parti comuni vada intravisto nel condominio (inteso sempre come collettività dei partecipanti) oppure nell'amministratore dello stesso in quanto tenuto a compiere gli “atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio” (art. 1130 n. 4 cod. civ.). In linea generale, viene qualificato “custode” il soggetto, anche se diverso dal proprietario, che abbia la disponibilità giuridica e materiale della cosa e quindi il potere-dovere di intervenire impedendo che ne possa derivare pregiudizio a terzi (Cass. S.U. n. 12019/1991; Cass. n. 16442/2011; Cass. n. 24530/2009; ecc.).
Una prima tesi colloca nella posizione di “custode” la persona dell'amministratore, con l'obbligo di curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condòmini od a terzi (Cass. n. 25251/2008, condòmino caduto in una buca presente del cortile condominiale). A supporto di questa pronuncia si potrebbero addurre altri elementi: con la nomina dell'amministratore i condòmini si spogliano del “governo della cosa”; l'amministratore ha l'obbligo della manutenzione ordinaria in via autonoma (art. 1130 n. 3 cod. civ.) e dei lavori straordinari su delibera dell'assemblea o per competenza propria quando sono urgenti (art. 1135, comma 2°, cod. civ.); i condòmini non possono assumere la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, tranne anche qui il caso di urgenza (art. 1134 cod. civ.); il registro di anagrafe condominiale, tenuto dall'amministratore, deve riportare le condizioni di sicurezza dell'edificio.
Ben diverso e prevalente è l'indirizzo che intravede il “custode” nel condominio, generalmente in forma tacita ammettendolo quale convenuto nei vari processi per danni ex art. 2051 cit.; ma talora anche con una pronuncia esplicita (ad es. Cass. 18042/2013; Cass. n. 15291/2011 e Trib. Arezzo 27/7/2017 n. 903; Cass. 29/1/2015 n. 1674, secondo cui custodi sono i condòmini in quanto proprietari investiti del governo della cosa). La giustificazione logica di un simile approdo si basa sulla distinzione fra “custodia giuridica” dell'art. 2051 cit., che genera un responsabilità extracontrattuale verso terzi, e responsabilità di natura “contrattuale” (art. 1218 cod. civ.) dell'amministratore-mandatario verso i condòmini per il suo obbligo di custodire adeguatamente i beni comuni (Cass. n. 17983/2014; Cass. n. 859/1981).
La responsabilità dell'art. 2051 cit. ha carattere “oggettivo”, cioè prescinde da una colpa, ed è superabile dal condominio con la (non facile) prova del caso fortuito, quale fattore imprevedibile che può consistere in un fatto naturale o del terzo o dello stesso danneggiato. La responsabilità contrattuale, invece, è basata su una colpa “presunta” da cui l'amministratore può liberarsi con la prova dell'impossibilità dell'adempimento per causa a lui non imputabile. Non sembrerebbe ragionevole porre a carico di un soggetto, tenuto solo a compiere determinati atti, della cui inadempienza deve rispondere all'altra parte contraente (il condominio), una responsabilità oggettiva verso terzi di carattere extracontrattuale. Tanto più che, salvo il caso dell'urgenza (art. 1135, 2° comma, cod. civ.), l'amministratore può eseguire i lavori straordinari solo se autorizzato da delibera assembleare. Si pensi, ad esempio, al danno da infiltrazioni per non aver l'assemblea provveduto al restauro del tetto seppure sollecitata o per non aver messo a disposizione le somme occorrenti.
Più logico ed equo si prospetta, dunque, il percorso che per i danni prodotti dalle parti comuni ritiene responsabile “in via oggettiva” verso i terzi solo il condominio, il quale può rivalersi per colpa contrattuale presunta verso l'amministratore con possibilità dello stesso di liberarsi con la prova contraria. I danneggiati potrebbero anche far causa direttamente all'amministratore in base ai principi generali della responsabilità civile dimostrando una sua colpa effettiva nell'evento; ma quasi sempre preferiscono avvalersi della più comoda responsabilità oggettiva ex art. 2051 cit. nei confronti del condominio.
Un campo nel quale non si può mai prescindere da una colpa effettiva dell'amministratore è quello penale, quando l'evento costituisce reato (lesioni od omicidio colposo, rovina di edificio), che comporta oltre alla pena l'eventuale risarcimento dei danni. Per giurisprudenza costante, l'amministratore riveste una specifica posizione di garanzia quanto alla conservazione delle parti comuni, con il dovere di vigilanza ed intervento al fine di rimuovere la situazione di pericolo per l'incolumità dei terzi ai sensi dell'art. 40/2° del codice penale (“non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”), indipendentemente da una delibera assembleare o da apposita segnalazione di pericolo (fra le tante, Cass. pen. n. 46385/2015, caduta di parti del rivestimento della facciata con lesioni ad un minore). Se però mancano i fondi necessari l'amministratore è liberato ed ogni responsabilità ricade sui condòmini (Cass. pen. n. 16790/2011; Cass. pen. n. 6596/2008); ma deve sempre e comunque predisporre le cautele più immediate e idonee ch'è in grado di attuare contro i pericoli per l'incolumità (es. transenne nella zona pericolosa, richiesta di intervento dei vigili del fuoco, ecc.) (Cass. pen. n. 46385/2015; Cass. pen. n. 21401/2009).
Resta da chiedersi fin dove debba estendersi, sotto i vari profili, il compito di vigilanza sugli edifici amministrati e come un soggetto, non obbligato a possedere titoli e cognizioni tecniche specifiche per il suo compito di amministratore, possa rendersi conto delle condizioni di sicurezza degli stabili e dei relativi pericoli all'infuori di quelli che risultino evidenti per qualunque cittadino. Problema non lieve, questo, anche per il giudicante, ai fini dell'eventuale condotta omissiva dell'amministratore e del nesso causale tra la stessa e l'evento, per sancire una responsabilità che richiede la violazione di una regola cautelare (generica o specifica) e la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso (Cass. pen. n. 14000/2015), nonchè l'accertamento della “condotta in concreto esigibile dall'amministratore in relazione alla sua posizione di garanzia” (Cass. pen. n. 39959/2009).
Il legislatore della riforma aveva intravisto una possibile soluzione prescrivendo all'amministratore di riportare nel registro di anagrafe condominiale, fra gli altri dati, anche quelli relativi alle condizioni di sicurezza delle parti comuni; ma senza individuare lo strumento e le modalità per attingere i suddetti “dati”. In questa problematica si inserisce inevitabilmente l'annoso dibattito sul controverso “Fascicolo del fabbricato”, invocato da taluni per la necessità di avere consapevolezza dello stato di conservazione degli edifici, con i livelli di rischio e le condizioni di criticità; osteggiato da altri perché, a parte ogni prevedibile complessità burocratica, scaricherebbe sui privati un onere non indifferente ed avrebbe riflessi negativi sugli sviluppi dell'edilizia. Finora sono stati presentati ben tredici disegni di legge, da ultimo il DDL n. 2826/2017 in Senato ed il DDL n. 4617/2017 alla Camera.

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