Condominio

L’ascensore, anche se deliberato, non può ledere la proprietà individuale

di Paolo Accoti

I poteri dell'assemblea non possono invadere la proprietà dei singoli condòmini: l'ascensore va rimosso anche se deliberato in assemblea.
L'art. 1135 c.c. individua tassativamente i poteri dell'assemblea, i quali non possono pertanto estendersi fino ad invadere la proprietà del singolo condomino, sia essa esclusiva ovvero comune. Ed invero, tale facoltà può essere legittimamente esercitata dall'assemblea solo qualora l'abdicazione del diritto di proprietà emerga dai singoli atti di acquisto ovvero con l'approvazione del regolamento condominiale.
Tale principio è stato espresso dalla II sezione civile della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 4726, pubblicata ieri, in una vicenda giudiziaria nella quale si controverteva in merito all'installazione di un ascensore esterno al Condominio.
Con ricorso cautelare innanzi all'allora Pretore di Belluno, una condomina chiedeva l'immediata sospensione dei lavori di installazione di un ascensore nello stabile condominiale.
Affermava la stessa come la realizzazione dell'opera, sia pure debitamente autorizzata dal Sindaco, era stata intrapresa senza il preventivo assenso dell'assemblea condominiale e che la “gabbia” dell'ascensore, avrebbe compromesso la visuale dalle finestre degli appartamenti di cui era comproprietaria.
Nonostante l'opposizione del Condominio, il Pretore disponeva la sospensione cautelare dei lavori e, nel conseguente giudizio di merito, il Tribunale di Belluno (nelle more divenuto competente), a seguito della disposta consulenza tecnica d'ufficio, condannava il Condominio alla demolizione del manufatto, oltre al risarcimento dei danni cagionati all'attrice.
La Corte d'Appello di Venezia, chiamata a decidere sul gravame interposto dal Condominio e da altri condòmini dello stabile, confermava la decisione assunta in primo grado, con condanna degli stessi, in solido tra loro, alla refusione delle spese del procedimento.
Riteneva la stessa che non vi era prova della volontà della condomina ricorrente di aderire alla realizzazione dell'ascensore esterno.
Ed invero, nelle delibere prodotte dal Condominio appellante, aventi ad oggetto la realizzazione dell'ascensore, a seguito delle osservazioni di alcuni condòmini, si dava atto del mancato raggiungimento dell'accordo alla realizzazione di un ascensore nel vano scale, di talché dal voto favorevole della condomina ricorrente, non si poteva desumere una sua volontà alla realizzazione di un ascensore esterno, siccome opera diversa da quella originariamente prospettata, neppure oggetto di discussione assembleare.
Non pago della doppia decisione sfavorevole il Condominio, supportato in giudizio personalmente da alcuni condòmini, ricorreva dinnanzi al Supremo Collegio, chiedendo la cassazione della sentenza di secondo grado sulla scorta di cinque motivi.
Tralasciando quelli squisitamente procedurali, nel merito, i ricorrenti lamentavamo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1120 e 1136 c.c.
Gli stessi non condividevano la qualificazione giuridica degli interventi edilizi fornita dalla Corte d'Appello, non ritendo che gli stessi rientrassero nell'alveo dell'art. 1120 c.c., in materia di innovazioni. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di seconde cure, affermavano come l'invalidità della delibera poteva essere dedotta solo con la tempestiva impugnazione della stessa ai sensi dell'art. 1137 c.c., evenienza non verificatasi nel caso di specie e che, pertanto, tale declaratoria non poteva essere conseguita con un altro strumento giudiziario.
In ogni caso, riaffermavano la circostanza per la quale, la medesima ricorrente aveva espressamente approvato le opere da realizzare, votando favorevolmente in assemblea.
La Suprema Corte boccia inesorabilmente dette tesi difensive.
Premette la stessa come il rimedio offerto dall'art. 1137 c.c., e il relativo termine decadenziale, attiene esclusivamente alle delibere annullabili, e non a quelle nulle.
In tali ultimi casi al giudice è concesso un potere ex officio in merito alla nullità negoziale della delibera, configurabile come una “nullità speciale o di protezione”.
Peraltro detta nullità negoziale, quand'anche non rilevata in primo grado, è sempre apprezzabile nei gradi successivi.
Ciò detto, entrando nel merito della rilevata nullità, la Corte evidenzia come: “in tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda”.
Ricorda la Suprema Corte in conclusione che, nel caso di specie, è stato anche “travalicato il limite entro il quale unicamente ciascun partecipante alla comunione può, ai sensi dell'art. 1102 c.c., servirsi della cosa comune”, in considerazione della circostanza per la quale, con la costruzione della gabbia dell'ascensore, si è occupato parte del suolo comune.
Il ricorso, pertanto, viene respinto ed i ricorrenti condannati, in solido tra loro, a rimborsare le spese del giudizio alla controricorrente.

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