Condominio

Gli «interpelli del condominio»: condòmini e prova testimoniale

di Federico Ciaccafava

Soffermiamoci sull'applicazione del divieto di testimoniare da parte dei condomini nelle cause relative al condominio.

D. In primo luogo, cosa si intende per prova testimoniale?
R. La prova testimoniale è stata definita come la dichiarazione resa in giudizio da un terzo estraneo alla causa che, sotto giuramento, riferisce di fatti o circostanze conosciuti direttamente o indirettamente (Bianca C.M.). Tale prova consente al giudice di conoscere quindi un determinato fatto attraverso la narrazione di un terzo – il testimone appunto – il quale, a sua volta, l'abbia percepito direttamente oppure l'abbia appreso da altri (c.d. testimonianza de auditu o de relato). Il legislatore nutre una certa diffidenza rispetto a tale mezzo di prova, essendo palese il pericolo che lo stesso possa determinare una alterazione della verità dei fatti ad opera di soggetti estranei alla causa. Trattasi inoltre di prova non eccessivamente affidabile sia perchè fondata sulla memoria dei testi, sia perchè quest'ultimi, indicati dalle parti, spesso non risultano affatto equidistanti dalle parti medesime e possono avere qualche interesse a non dire il vero. Per tali ragioni il legislatore ha circondato la prova testimoniale di una serie di limiti i quali inverano per taluni aspetti regole di esperienza.

D. Tra i limiti indicati dal legislatore quale riguarda direttamente la materia condominiale?
R. Tra le limitazioni soggettive della prova testimoniale – attenendo viceversa quelle oggettive ai fatti sui quali la testimonianza è esclusa oppure è ammessa solo nel concorso di determinate condizioni – figura espressamente la fattispecie dell'”incapacità a testimoniare” prevista e disciplinata dall'art. 246 cod. proc. civ. Tale disposizione, espressione della necessaria terzietà del testimone, fissa un preciso divieto, disponendo testualmente: “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”. Come osservato, la norma allude non già ad un qualunque “interesse” di fatto, bensì alle ipotesi in cui il teste, pur non essendo parte nel processo, potrebbe diventarlo, essendo titolare di un rapporto giuridico che gli consente d'intervenire o di essere chiamato in giudizio (Balena G.). In particolare, la Suprema Corte ha precisato che l'interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, a norma dell'art. 246 cod. proc. civ., è l'interesse giuridico, personale, concreto, che legittima l'azione o l'intervento in giudizio.

D. Nella casistica giurisprudenziale come è stato interpretato ed applicato tale divieto in riferimento alla posizione dei condomini?
R. La Suprema Corte ha in merito enunciato espressamente un fondamentale principio di diritto: “Nella lite promossa da un condomino nei confronti del condominio in relazione alla ripartizione delle spese sostenute per l'utilizzazione della cosa comune, i singoli condomini, potendo assumere la qualità di parti, sono incapaci di testimoniare” (Cass. civ. n. 2007/17925). Nel caso in esame si trattava di spese relative alla manutenzione di una piscina addebitate pro quota anche al condomino ricorrente il cui debito era stato dai giudici di merito ritenuto sussistente – pur in difetto di una documentazione giustificativa della posizione di credito del Condominio – sulla base della dichiarazione di condomini in veste di testimoni e quindi incapaci di testimoniare. In altri termini, la pronuncia cassata dal giudice di legittimità si fondava sulle testimonianze rese da alcuni condomini, i quali avevano dichiarato di aver corrisposto la loro quota per i lavori relativi alla piscina, omettendosi di considerare che, nel caso in questione, trattandosi di una lite tra condomini in relazione alla ripartizione delle spese sostenute, i condomini sono incapaci di rendere testimonianza, potendo assumere la qualità di parte. Un decennio prima, tuttavia, la Corte regolatrice aveva già denunziato la violazione dell'art. 246 cod. proc. civ. affermando espressamente che la controversia promossa dall'amministratore di condominio, al quale spetta, come mandatario dei condomini, la rappresentanza degli stessi, per la riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino per l'utilizzazione delle cose o dei servizi comuni, configura una lite fra condomini, nella quale questi, in quanto parti, sono incapaci di testimoniare (Cass. civ. n. 1997/6483). Da ultimo, infine, l'insanabile incapacità del singolo condomino a testimoniare nelle cause che coinvolgono il Condominio è stata ribadita dal giudice di legittimità in una recentissima pronuncia anche in relazione ad una ipotesi di responsabilità extracontrattuale: in particolare, un giudizio insorto a seguito dell'azione intentata da un condomino per danni da cosa in custodia ex art. 2051 cod. civ. (Cass. civ. n. 17199/2015; nel caso in esame, è stato negato il risarcimento del danno sofferto da un condomino, il quale, pur in condizioni di imperfetta stabilità ed equilibrio, aveva coscientemente deciso di impegnare un pianerottolo condominiale interessato da lavori di ristrutturazione). Secondo la S.C. il divieto di testimonianza del singolo condomino nelle cause relative al Condominio si giustifica considerando che quest'ultimo si risolve invero – quale mero ente di gestione – negli stessi condomini ed è perciò evidente la possibilità, concreta e non solo potenziale, che ogni eventuale condanna al pagamento sia azionabile immediatamente – costituendo essa titolo diretto nei confronti di ciascuno di questi – contro i singoli condomini, a prescindere che, conclude sul punto la Cassazione, per le obbligazioni extracontrattuali, sia esclusa o meno la natura solidale.

Riferimenti normativi :
Cod. Civ. art. 1117
Cod. Proc. Civ. art. 246

Riferimenti giurisprudenziali:
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 27 agosto 2015, n. 17199
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 23 agosto 2007, n. 17925
Cassazione civile, Sez. II, sentenza 16 luglio 1997, n. 6483

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