Gestione Affitti

L’inquilino che paga un affitto inferiore all’equo canone non è tenuto al pagamento delle differenze

Necessario però che la deroga al ribasso del canone risulti espressa e chiara, altrimenti è illecita

di Ivana Consolo

La legge sull'equo canone (ci sono ancora alcuni contratti in vigore, sopravvissuti a forza di proroghe), pone un limite massimo all'importo della pigione, oltre il quale chi dà in locazione un'abitazione, non può e non deve andare. Ma cosa succede se le parti concordano un canone addirittura inferiore a quello ritenuto equo? L'inquilino può stare tranquillo, o deve temere che il locatore possa pretendere le differenze maturate nel tempo? Con ordinanza civile numero 36247, del 23 novembre 2021, i giudici di Piazza Cavour ci forniscono l'unica regola a cui attenersi.

I fatti ed i giudizi di merito
Due privati cittadini stipulavano un regolare contratto di locazione ad uso abitativo, fissando una pigione di importo inferiore a quello indicato dalla legge sull'equo canone. Pur avendo pacificamente e liberamente concordato ogni aspetto contrattuale, il locatore decideva di rivolgersi all'autorità giudiziaria per chiedere la corresponsione delle differenze maturate, ovvero gli importi complessivi risultanti dalla differenza tra il canone normativamente previsto ed il canone di misura inferiore effettivamente pagato dal conduttore.

Si svolgeva quindi un giudizio che giungeva sino in Cassazione, e la Suprema corte cassava con rinvio la decisione adottata dalla Corte d'appello di Perugia, sollecitando i giudici all'applicazione di un principio di diritto abbastanza consolidato. Il principio in parola, prevede che vi sia la piena possibilità che le parti di un contratto di locazione ad uso abitativo possano derogare, al ribasso, alla misura dell'equo canone, purché la volontà del locatore di accettare un canone inferiore a quello equo sia chiara ed incontestabile, nonché esente da vizio di volontà (errore).

In sede di rinvio, la Corte d'appello di Perugia non applicava pedissequamente il principio di diritto enunciato dalla Cassazione, ma impostava la sua decisione sulla scorta di altre considerazioni giuridiche. In buona sostanza, la Corte perugina riteneva che nessuna prova fosse stata fornita dal locatore circa un vizio nella formazione della sua volontà; conseguentemente, nessuna condanna al pagamento delle differenze maturate veniva inflitta al conduttore. Il locatore, si determina quindi a rivolgersi alla Cassazione, sollevando la mancata corretta applicazione del principio di diritto cui era tenuto, in sede di rinvio, il giudice di secondo grado.

Il ragionamento della Suprema corte
Investiti della vicenda, gli ermellini, non possono che ribadire il pieno fondamento giuridico del principio già enunciato, manifestando disappunto per la sua mancata applicazione da parte della Corte territoriale. Ma la Cassazione va anche oltre, ed evidenzia come il ragionamento giuridico seguito dai giudici di Perugia, del tutto difforme dalle indicazioni della suprema Corte, sia fallace.Qual è l'elaborazione giuridica dei giudici di secondo grado?Ebbene, secondo la Corte d'appello, la volontà di derogare all’equo canone non deve essere necessariamente espressa; importante è dimostrare che la stessa volontà risulti correttamente formatasi (ovvero formatasi in assenza di errore).

Spetterebbe al locatore fornire la prova di essere incorso in un errore, ma non spetta al conduttore dimostrare la perfetta formazione dell'altrui volontà. Da Piazza Cavour ci fanno sapere che la prospettiva da cui i giudici perugini hanno esaminato il caso di specie, appare del tutto “fuori fuoco”. È lo stesso articolo 12 della legge sull’equo canone a pretendere che la deroga al ribasso della misura della pigione debba risultare espressa e chiara, altrimenti è illecita. La prova di una chiara volontà di deroga, se anche non si desume direttamente dal contratto, può presumersi: ad esempio, se per lo stesso immobile, in altro periodo, il locatore ha imposto un canone conforme alla misura prevista dalla legge 392/1978, costui ha tenuto una condotta da cui si può desumere che sia perfettamente a conoscenza dei criteri di calcolo dell'equo canone.

Necessaria una espressa volontà del locatore
Conseguentemente, se in un periodo successivo, stipula un contratto con canone inferiore, non sta incorrendo in un errore, ma sta semplicemente derogando alla regola. La Cassazione, evidenzia dunque l'imprescindibilità di una espressa volontà di deroga, nonché l'importanza di poterla accertare positivamente, anche in via presuntiva. Nel momento in cui la Corte territoriale sposta tutto sul piano della prova o meno di un vizio della volontà, commette un errore, dato che, nel caso di specie, non si controverteva circa la legittimità/validità del contratto.Il ricorso del locatore non merita dunque alcun accoglimento, e la vicenda deve nuovamente essere posta all'esame della Corte di Perugia, con altro collegio giudicante, affinché si proceda all'applicazione dell'unico principio di diritto valevole.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©