Gestione Affitti

Non si può separare il rapporto di locazione dal diritto alla restituzione dell’immobile

Il contratto sottoscritto dalle parti avrebbe legato l'esito della titolarità del contratto di locazione (e tutti i diritti di restituzione dell'immobile alla fine del rapporto) al soggetto che sarebbe uscito vincitore dal giudizio amministrativo

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di Edoardo Valentino

La vicenda affrontata dalla sentenza Cassazione Sezione III, 20 novembre 2020, numero 26418 appare decisamente complessa: la questione sottesa verteva su un complesso rapporto locatizio, che si sintetizza al fine della migliore comprensione del principio giuridico espresso dalla Cassazione.

La vicenda
A seguito di un fallimento di una società per azioni, un consorzio per lo sviluppo industriale acquistava un'area produttiva appartenuta alla azienda fallita.Il curatore del fallimento, tuttavia, agiva in sede di giustizia amministrativa al fine di vedere annullata la delibera con la quale il consorzio aveva acquistato il lotto.Sia il Tar, che il Consiglio di Stato censuravano l'invalidità della delibera e disponevano la sua sospensione. In conseguenza di tale sospensione il fallimento alienava il lotto ad un'altra società, immettendola nel possesso dell'immobile.

La società, in seguito, affittava il lotto ad una pubblica amministrazione e svolgeva delle opere edilizie per adattare l'immobile e consentire le attività di quest'ultima.

Nel frattempo un altro giudizio veniva istaurato tra il consorzio originario aggiudicatario del lotto e la società che lo aveva acquisito.Di concerto tra loro, le tre parti (consorzio, società e pubblica amministrazione) sottoscrivevano un contratto che ineriva in sintesi alla titolarità del contratto di locazione sottoscritto con la pubblica amministrazione.

In particolare, la scrittura privata sottoscritta prevedeva che il contratto di locazione sarebbe stato trasferito (e i relativi oneri corrisposti) alla parte che avrebbe vinto il giudizio relativo all'aggiudicazione del lotto.Dopo un periodo di tempo, all'esito del processo, il consorzio veniva dichiarato legittimo acquirente del lotto e la pubblica amministrazione, terminato il contratto di locazione, riconsegnava a questo soggetto l'immobile, riconoscendolo come legittimo proprietario.

Contro questa iniziativa ricorreva la società, motivando come segue.
La legge consente a chiunque, non solo al proprietario, abbia la disponibilità di un bene grazie a un titolo non contestato, di locare un bene.Stante la validità del proprio possesso del bene (in ragione della complessa vicenda giudiziaria appena descritta) al momento dell'inizio del rapporto di locazione, allora il bene avrebbe dovuto essere restituito alla stessa società al momento del termine del contratto di locazione.

Del tutto irrilevante sarebbe stata la scrittura sottoscritta dalle tre parti, in quanto essa avrebbe determinato solamente a chi avrebbe dovuto essere ceduto il contratto di locazione, ma non avrebbe inficiato il diritto della società a vedersi riconsegnato l'immobile.

Il principio invocato dalla società
Tale linea giuridica sarebbe stata, a parere della società, sostenuta dagli articoli 1590 e 1591 del Codice Civile.Tali norme affermano infatti che “Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto” (comma I della prima norma citata) e che “Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno”.

Secondo la società quindi il contratto di locazione era stato validamente stipulato, la sconfitta giudiziaria subita non aveva comportato una rinuncia alla restituzione del bene a essa stessa in quanto il contratto tra le tre parti avrebbe unicamente condizionato la titolarità del rapporto locatizio, ma non avrebbe riguardato in alcun modo il diritto di restituzione dell'immobile al termine dello stesso.

Per derogare a tali principi legali, secondo la ricorrente, sarebbe stato necessario che le parti facessero esplicita menzione della deroga nel loro contratto. La società, quindi, pur riconoscendo la validità della scrittura, contestava l'interpretazione fornita dai giudici di merito nella parte in cui essi non avevano accordato alla società stessa il risarcimento per la tardiva riconsegna dell'immobile.

Il principio della cassazione
Con la sentenza in commento, tuttavia, la cassazione – a seguito di una complessa e articolata disamina – rigettava il ricorso della società. Era pur vero, infatti, che non solo la proprietaria di un immobile può locarlo, ma il contratto sottoscritto tra le parti era chiaro e doveva essere inteso in modo da cedere la completa titolarità dei diritti di locazione alla parte che, vincendo il giudizio amministrativo, si sarebbe dimostrata legittima aggiudicataria del lotto acquistato dal fallimento.

La società, quindi, aveva erroneamente ritenuto di disgiungere il rapporto locatizio dal diritto di restituzione dell'immobile.Secondo gli ermellini, però, anche in applicazione dei criteri ermeneutici di cui all'articolo 1362 del Codice Civile, il contratto sottoscritto dalle parti avrebbe legato l'esito della titolarità del contratto di locazione (e tutti i diritti di restituzione dell'immobile alla fine del rapporto) al soggetto che sarebbe uscito vincitore dal giudizio amministrativo.L'interpretazione della società ricorrente, quindi, sarebbe stata errata e fuorviante, nonché inammissibile in sede di legittimità in quanto volta a sindacare una valutazione discrezionale del giudice di merito sulle prove fornite dalle parti. La Cassazione rigettava quindi il ricorso proposto dalla società.

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