Gestione Affitti

Non pagare l’affitto è un diritto?

L’ordinanza del Tribunale di Roma potrebbe “minare” il sistema delle locazioni commerciali?

di Luca Caapodiferro (Coordinatore Nazionale Centro Studi Giuridici Confabitare)

L'Ordinanza dello scorso 27 agosto, emessa dal Giudice della VI Sezione civile del Tribunale di Roma , pur nella pregevolezza delle motivazioni giuridiche, ha sollevato non poche perplessità. Il procedimento, instaurato in via d'urgenza, chiedeva al tribunale di inibire al locatore l'escussione della fideiussione rilasciata a garanzia dell'esatto adempimento del contratto da parte del conduttore, un ristoratore romano.

Nel ricorso si chiedeva, altresì, la riduzione, ad opera del giudice, del 50% del canone di locazione a suo tempo pattuito fra le parti. Il Tribunale ha sospeso la garanzia fideiussoria e ha ridotto il canone del 40% per i mesi di aprile e maggio e del 20% per il periodo giugno 2020 – marzo 2021.

Che i provvedimenti adottati dal Governo nei mesi scorsi, al fine di contenere la diffusione dell'epidemia da Covid-19 avrebbero avuto un impatto pesante sul comparto delle locazioni commerciali era cosa che, noi esperti del settore, avevamo da subito evidenziato. La successiva adozione di modalità di lavoro a distanza (il c.d. smart-working) ha solo aggravato la situazione, soprattutto nel settore c.d. food & beverage.

Se questa situazione era, o avrebbe dovuto essere, ben chiara da subito, meno chiara è sempre apparsa la volontà del Governo di intervenire in modo organico per cercare di gestire, soprattutto una volta finito il periodo di c.d. lockdown, il divario creatosi fra le norme contenute nella legge 392 del 1978 (che disciplina le locazioni ad uso commerciale) e la situazione di grave crisi economica che si è determinata (o, in molti casi preesistenti, amplificata).

orse qualcuno ha pensato (o sperato) che il mercato alla fine si sarebbe regolato da sé, altri che la cosa sarebbe stata regolata e risolta dai giudici. Che è quello che sta accadendo. Solo che risolvere i conflitti fra una legge speciale e la crisi da Covid solo a colpi di ordinanze, rischia molte volte di sfociare in posizioni ideologiche, magari anche comprensibili ma che nulla hanno a che vedere, però, con la legge in questione (per non parlare dei possibili dubbi di costituzionalità in ordine alle possibili disparità di trattamento fra le parti del contratto).

Bisognerebbe, invece, ripensare ed aggiornare la stessa legge 392, adeguandola ai tempi e, magari, inserendovi delle norme c.d. «aperte» che consentano di adattarla velocemente a quanto sta accadendo, così come ad altri imprevedibili eventi futuri. Per poter comprendere la portata dell'Ordinanza del Tribunale di Roma occorre, a mio avviso, avere ben chiari alcuni concetti conseguenti all'emergenza in corso. Le attività sono state chiuse in forza dei vari DPCM emessi dal Governo per gestire l'emergenza, senza che ciò abbia, di fatto, tolto la disponibilità dell'immobile che è rimasta in capo al conduttore.

Non solo, il divieto colpiva l'esercizio di qualsiasi attività (tranne quelle individuate come ammesse in deroga) senza che ciò dipendesse dalle qualità dell'immobile ove questa era ubicata. L'impossibilità non dipendeva nemmeno da una qualsiasi azione (o mancata azione) posta in essere o, comunque, imputabile al locatore, che non solo non ha impedito l'uso dell'immobile, ma non è mai venuto meno ai propri obblighi contrattuali.

L'impossibilità dell'uso, quindi, è stata temporanea (meno di tre mesi) e, in ogni caso, non imputabile ad alcuna delle parti firmatarie del contratto. Una situazione piuttosto intricata che l'Associazione Confabitare ha sempre invitato a risolvere mediante la stipula di accordi integrativi e modificativi dei contratti. In pratica, abbiamo sempre invitato i nostri associati a rinegoziare i contratti, riducendo i canoni, anche in via temporanea, per aiutare i conduttori a superare la crisi.

Decidere diversamente, da parte di un soggetto terzo come il giudice, per di più imponendo una riduzione del canone «a suo piacimento» vuol dire stravolgere l'intero impianto contrattuale, con buona pace anche dei principi fondanti l'Ordinamento giuridico italiano in materia di proprietà privata e contratti. Perché, per quanto comprensibile e, a tratti, anche condivisibile, alla fine l'Ordinanza di Roma questo ha fatto.

Ora, a prescindere da quello che può essere stato il comportamento preprocessuale e processuale del locatore (in ordine anche ad una eventuale disponibilità o meno a rinegoziare il contratto, cosa possibile a prescindere che vi sia o meno una clausola apposita, essendo sufficiente la volontà di entrambe le parti) nelle motivazioni, senza minimamente prendere in considerazione le conseguenze che ne sarebbero scaturite in capo al locatore, il giudice parla di «condizioni contrattuali squilibrate» conseguenti alla sopravvenienza di fatto e di diritto originate dal Covid, che legittimerebbero la necessità, a favore del solo conduttore, di poter riequilibrare (cioè rinegoziare) le condizioni economiche del contratto.

Questo quale conseguenza del principio generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto.Che poi, scritta così, sembra quasi voler far intendere che il locatore si sia comportato in modo scorretto e in mala fede. Tesi suggestiva, ma inaccettabile ed anche piuttosto ideologica.

Ma l'Ordinanza va oltre!Il giudice, infatti, ha ritenuto che questa idea di buona fede possa essere invocata ed utilizzata «con funzione integrativa e cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto».

Da qui lo squilibrio negoziale ritenuto inaccettabile (per il solo conduttore). Ma cosa significa, in parole concrete, questa frase? Più cose:che le parti firmando il contratto avrebbero dovuto immaginare che un'epidemia avrebbe potuto squilibrare gli accordi. Che, non avendolo fatto, gli eventi sopravvenuti e imprevedibili (che nemmeno il Governo ha potuto prevedere) devono obbligatoriamente ricadere sulle sole spalle del locatore.

In questo modo, però, si rischia da un lato di stravolgere i principi costituzionali e civilistici che regolano la libertà di disporre dei propri immobili e di contrarre, dall'altro significa introdurre «con la forza del giudice» una sorta di «solidarietà sociale a carico dei locatori». Il passo successivo potrebbe essere quello di considerare un abuso del diritto la pretesa del locatore al regolare pagamento del canone pattuito.

Quindi, tutela massima a favore del conduttore, nessuna tutela né contropartita compensativa a favore dei locatori. Se ci si aggiunge il blocco degli sfratti, siamo ai limiti dell'esproprio indiretto, tanto caro ad una certa vecchia ideologia che speravamo ormai relegata nella storia. L'ordinanza alla fine dice che, non essendoci la clausola di rinegoziazione, la buona fede (in capo al solo conduttore) impone di addivenire comunque ad un nuovo accordo riequilibratore, con o senza il consenso del locatore.

Nel caso valutato dal Tribunale, sembrerebbe che il locatore sia stato insensibile alle richieste di ridurre il canone, pur avendole poi, certo tardivamente, prese in considerazione in corso di causa.

Ma per quanto ci interessa, le parti avrebbero anche potuto discutere per settimane, rivolgendosi proposte e controproposte. Era un loro diritto farlo, ma anche accettare o meno le proposte, come rimane un diritto quello di decidere se contrarre o meno, cioè se dare in affitto o meno un proprio immobile, ovvero se darlo a determinate condizioni. Con questa Ordinanza si introduce un precedente piuttosto complesso e pericoloso:il giudice si sostituisce in toto al proprietario nel decidere uno degli elementi essenziali del contratto (il canone) ma, purtroppo, anche prevedendo una sorta di responsabilità oggettiva in capo al locatore per l'eccessiva onerosità sopravvenuta (che, invece, non è imputabile a nessuna delle parti).

E ciò fa prendendo posizione a favore del conduttore, senza porsi minimamente il problema che il locatore (che non sempre è una banca, una grande società o un fondo) che non percepisce il canone, o ne percepisce una somma anche notevolmente inferiore, subisce un pregiudizio concreto ed attuale.

Ora, a prescindere dal caso trattato, viene da chiedersi:ma se il locatore fosse stato una persona fisica, che magari ha fatto una vita di sacrifici per investire in un immobile da mettere poi a reddito, che contava sull'affitto per vivere? Nell'Ordinanza il Giudice di Roma sembra preoccuparsi solo che i canoni in origine pattuiti «potrebbero aggravare considerevolmente la situazione di crisi finanziaria» del conduttore, portandola alla cessazione dell'attività.

Se, invece, la crisi (ma anche il mancato reddito) travolge completamente il locatore è cosa non meritevole di tutela?In questo modo si rischia - pur nella bontà della decisione che voleva evidentemente salvaguardare un'attività in crisi - non solo di sostituire il giudice al legislatore e al Governo, ma anche di creare un vero e proprio panico fra i proprietari che danno in locazione i loro immobili.Meglio sarebbe, invece, cercare (per via legislativa e non giudiziaria) di incentivare la rinegoziazione dei contratti. Solo che, per farlo, se si vuole evitare l'uso ideologico della forza dello Stato (sempre e solo a danno dei locatori), occorrerebbe introdurre delle forme di compensazione a favore dei locatori che accettano di ridurre il canone alle attività in crisi.

In questo senso Confabitare ha proposto varie misure al Governo, fra le quali l'introduzione, anche per un periodo limitato di pochi anni, della cedolare secca al 10% su tutti i contratti commerciali rinegoziati (senza limiti di sorta per categoria merceologica o catastale o di dimensioni dei locali) da affiancare ad altre forme di incentivo e compensazione. Così dovrebbe agire un Paese serio.

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