Gestione Affitti

Affitto commerciale, valido l’accordo con indennità da perdita di avviamento

La locatrice che lo ha sottoscritto non può invocare l’ingiustificato arricchimento

di Edoardo Valentino


Anche in assenza di obbligo di corresponsione di una indennità da perdita di avviamento commerciale, è consentito alle parti addivenire ad un accordo che la comprenda.Questo il principio espresso dalla sentenza della Cassazione civile sezione III, 24 giugno 2020, numero 12405.

I fatti
Il giudizio prendeva le mosse a seguito dell'azione giudiziale intentata da una società proprietaria di un immobile locato ad uso commerciale ad un'altra persona giuridica.
Con questa azione legale, la locatrice richiedeva la restituzione di una ingente somma corrisposta alla conduttrice a titolo di indennità da perdita di avviamento commerciale. Secondo la ricostruzione della parte attrice, infatti, le due società di erano accordate per terminare anticipatamente il contratto di locazione, sottoscrivendo una scrittura privata con la quale, tra le altre cose, la proprietaria si impegnava a corrispondere alla affittuaria la suddetta somma.

Le contrapposte ragioni
Nessuna questione veniva mossa sulla genuinità degli accordi o delle sottoscrizioni apposte in calce agli stessi, la parte attrice contestava unicamente di dovere la somma, che non sarebbe stata dovuta alla controparte in quanto l'attività svolta dalla stessa non prevedeva contatto con il pubblico e non sarebbe quindi stato possibile ipotizzare un rimborso per la perdita di un avviamento commerciale.

A sostegno della propria tesi, in particolare, la proprietaria invocava il dettame dell'articolo 2041 del Codice civile, che prevede al primo comma che «chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale».

Si costituiva in giudizio la convenuta, affermando come la pattuizione era divenuta parte integrante degli accordi che avevano portato al rilascio dell'immobile oggetto di causa e conseguentemente il rapporto dedotto sarebbe stato più complesso di quanto dedotto in giudizio dall'attrice.

Le decisioni di merito ed il corso alla Superma corte
Il Tribunale prima, e la Corte d'Appello successivamente, davano conforto alle ragioni della parte convenuta rigettando la tesi attorea dell'arricchimento senza giusta causa.
Agiva, quindi, in sede di Cassazione la società proprietaria, sulla base di un giudizio incentrato su un unico motivo di diritto.

Con il suddetto atto la ricorrente censurava la decisione d'appello nella parte in cui non aveva - a suo dire – interpretato correttamente l'articolo 2041 del Codice civile e aveva dichiarato legittima la corresponsione della somma a titolo di perdita di avviamento commerciale alla società resistente.

Secondo la parte, difatti, il problema giuridico a monte della decisione non sarebbe stata la validità o meno degli accordi sottoscritti tra le parti, ma la violazione di norme imperative di legge in materia locatizia al fine di conseguire un indebito arricchimento.La domanda illegittima di una somma a titolo di perdita di indennità di avviamento commerciale, infatti, sarebbe stata nulla ai sensi dell'articolo 79 della legge 392 del 1978, dato che detta legge stabilisce che «E' nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge».

La decisione
Con la sentenza in oggetto la Cassazione rigettava in toto detto ragionamento giuridico.
Nonostante l'assenza dei requisiti legali per la concessione di una indennità da perdita di avviamento commerciale, infatti, nel caso in oggetto la clausola era stata inserita in una transazione commerciale decisa congiuntamente tra le parti.

L'inserimento della somma in transazione costituiva quindi una valida causa per esigere e giustificare il pagamento della somma stessa, non essendo invocabile la diversa previsione di legge. Anche in assenza di un danno – statuiva la Cassazione – la ricomprensione della somma nell'accordo tra le parti aveva avuto l'effetto di conferire efficacia obbligatoria all'obbligazione. Alla luce di questo ragionamento, il ricorso veniva rigettato e la parte proprietaria condannata alla refusione delle spese di lite alla controparte.

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