Gestione Affitti

Affitti commerciali e morosità al tempo del Coronavirus: una serie di casi speciali

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di Luca Capodiferro (Coordinatore nazionale Centro studi giuridici Confabitare)

Che gli italiani si siano comportati in modo ineccepibile durante tutto il «lockdown» è cosa orami risaputa, come ben nota è sempre stata a tutti la crisi che, inevitabilmente, ne sarebbe derivata, anche solo quale aggravante di una crisi ormai in essere da qualche anno.

Fra le molte tristi eredità di questo virus, quella del mancato pagamento dei canoni di locazione è sicuramente una delle più delicate, sia per le conseguenze immediate che per quanto potrebbe accadere nei mesi a venire. Ritardi, pagamenti incompleti o mancati pagamenti sono ormai «notizia di tutti i giorni», situazione attesa e non affrontata, come se fosse una conseguenza scontata mentre, a volerla dire tutta, le parti coinvolte ben potevano prepararsi da prima a gestirla.

E, invece, tutti sono rimasti in attesa di una norma che non è arrivata e, per chi queste cose le «mastica», non poteva arrivare. Ed è proprio da questa considerazione che vogliamo partire, per giungere poi ad una breve analisi delle recenti sentenze intervenute e sulle quali, se considerate al di fuori dell'ambito processuale proprio, facciamo fatica a trovarci d'accordo.

Intanto partiamo dal dato più certo:l'attuale situazione appare in stand-by solo in forza del decreto che ha bloccato gli sfratti. Ma nei prossimi mesi potremmo trovarci davanti ad un fenomeno di proliferazione delle procedure di sfratto mai visto. E non è a colpi di rinvio o di blocchi che si risolvono le cose.

Questo perché i vari DPCM – se si esclude il bonus affitti – non hanno voluto, a nostro avviso, «entrare a gamba tesa» in una situazione particolare qual è quella dei contratti di locazione. Ed ha fatto bene il Governo a non intromettersi, perché altrimenti avrebbe dovuto avviare un processo molto complicato di revisione e adeguamento della legge 27 luglio 1978 n. 392 (che disciplina le locazioni commerciali) che avrebbe reso impossibile gestire il tutto in tempi rapidi.

Eppure vi è chi continua ad invocare i vari Decreti, oltre al Codice civile, per giustificare ogni inadempimento della parte conduttrice. Ma i Decreti non hanno, come detto, offerto alcuna soluzione o appiglio, così come l'intero impianto del Codice non sembra applicabile, se non in limitati casi, alla situazione creata dal Covid-19. Se si leggono i vari Decreti non si trova in alcun articolo un «diritto del conduttore a sospendere il pagamento dei canoni di locazione», ma solo norme rivolte a gestire casi molto particolari (come, ad esempio, i muti prima casa, i leasing, ed altri casi). Interpretarli in modo da applicare queste specifiche previsioni anche ai contratti di locazione vuol dire «inventarsi a proprio uso una legge che nessuno hai mai voluto o pensato di emanare».


Anche i tentativi di applicare le norme del Codice civile non sono percorribili, se non in alcuni casi specifici. La troppa generalizzazione porta confusione e, peggio, poi induce gli operatori a scelte sbagliate. Valga su tutte quella che, a nostro avviso, è forse la più importante delle considerazioni:è solo l'attività che è stata chiusa per legge, l'immobile preso in locazione, invece, non è mai stato tolto alla disponibilità del conduttore. Il fatto che il conduttore non potesse operare in forza del DPCM lo esonera da responsabilità eventualmente imputabili al debitore che tarda a pagare, non giustifica il mancato totale pagamento o l'autoriduzione del canone.

Perché? Semplice, perché non dipende da fatto imputabile al locatore, il quale non ha violato alcuna norma od obbligo contrattuale né ha materialmente impedito al conduttore di usare l'immobile. Legalmente era vietata l'attività per un certo periodo, non l'uso dell'immobile e, inoltre, il divieto è durato un periodo troppo breve perché si possa ritenere abbia inciso in modo irreversibile sul contratto e sull'obbligo di pagare il canone. In più occasioni la Corte di Cassazione ha ritenuto che il conduttore non può sospendere il pagamento del canone nel caso di riduzione nel godimento dell'immobile. Perché ciò sia legittimo, dicono i giudici, occorre che vi sia la totale assenza di controprestazione del locatore, che significa che il mancato uso deve da lui in qualche modo dipendere. Semmai, correttamente, il ritardo nel pagamento dell'affitto per momentanea crisi di liquidità del conduttore dovrà essere valutato dai giudici laddove vi sia una procedura di sfratto che, in questo caso, potrebbe non essere così fondata.
Le recenti sentenze dei Tribunali di Venezia, Bologna, Genova e Rimini sono state da alcuni «sbandierate» come la giustificazione all'inadempimento del conduttore che, a quel punto, inadempimento non sarebbe più. Ma non basta! Qualcuno si è addirittura spinto ad una considerazione più di carattere ideologico che giuridico, ritendo che i DPCM e i giudici citati avrebbero introdotto una sorta di «solidarietà sociale a carico dei locatori», in forza della quale la legittima pretesa di questi a percepire i canoni pattuiti configuri quasi una sorta di abuso del diritto. Ogni commento appare veramente inutile e sprecato.

Il problema, come sempre, è di non decontestualizzare i motivi di una sentenza, altrimenti il tutto diventa fuorviante. Si trattava, infatti, di casi particolari, nei quali la questione atteneva al mancato pagamento dell'indennità per mancato preavviso ed al conseguente tentativo del locatore di escutere le fideiussioni ricevute. In altri casi il conduttore ha deciso la chiusura dell'attività, immaginiamo in via definitiva ma non abbiamo a disposizione gli atti del procedimento, omettendo il pagamento di quanto a quel momento dovuto. In qualche altro caso si erano aperte trattative per la riduzione del canone, poi evidentemente non andate a buon fine.

Si tratta di procedimenti d'urgenza, le decisioni sono ordinanze, bisogna poi vedere come si evolve il processo vero e proprio e come saranno, di conseguenza, le sentenze. In quella sede i locatori avranno tutta la possibilità di far valere le proprie ragioni. O di trovare soluzioni bonarie con le quali chiudere tutto.

Quello che lascia perplessi, invece, sono alcune motivazioni addotte dai giudici, laddove si parla di «effetti pregiudizievoli che potrebbero subire i conduttori qualora fossero posti all'incasso gli effetti dati in garanzia», ovvero l'adesione alla tesi che, visto che l'attività è rimasta ferma per causa di forza maggiore (le disposizioni del DPCM), vi è un conseguente diritto a non pagare il canone.

Questo perché vi sarebbe per il conduttore, secondo qualche giudice, un pregiudizio imminente e irreparabile nell'obbligo di pagare il canone (o il preavviso). Si arriva così a prefigurare la necessità di una maggior tutela del conduttore per tutto il periodo dell'emergenza. Ci chiediamo:i locatori, invece, è legittimo che siano danneggiati senza contropartita alcuna?

Tesi inaccettabile e contraria ad ogni principio fondante il sistema civilistico delle locazioni e, forse, riteniamo anche dei diritti costituzionalmente garantiti in capo alla proprietà. Viene da chiedersi, infatti, se i giudici si siano posti il problema che il locatore che non percepisce il canone subisce un pregiudizio concreto e attuale. A meno di voler credere che nel nostro Paese ci sia chi veramente vorrebbe trasferire tutto il peso sociale che consegue a questa emergenza sulle spalle dei locatori. Che, si badi bene, non sono sempre e solo grandi società o banche, ma spesso sono semplici persone fisiche che contano anche sul reddito derivante dall'affitto per vivere!

Appare, invece, pienamente condivisibile l'osservazione dei giudici circa la necessità o, forse, opportunità, che le parti definiscano fra di loro in via transattiva la questione. Tesi, questa, che sosteniamo fin dall'inizio della pandemia.

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