Gestione Affitti

Affitti, non va tassata la clausola penale sui canoni arretrati

di Antonino Porracciolo

Non va tassata autonomamente la clausola del contratto di locazione che, per il caso di omesso pagamento del canone, stabilisce che il conduttore debba corrispondere le somme non versate maggiorate degli interessi a un tasso superiore a quello legale. È questa la conclusione a cui è giunta la Ctp Milano (presidente Chiaro, relatore Garofalo) nella sentenza 894/10/2019 del 25 febbraio scorso, ottenuta da Confedilizia.

La controversia scaturisce dall’impugnazione di un avviso di liquidazione, con cui le Entrate avevano chiesto l’imposta di registro di 200 euro; il tributo era relativo alla clausola con cui, in un contratto di locazione, si era stabilito che, sui canoni non pagati, il conduttore avrebbe dovuto corrispondere gli interessi di mora pari al tasso legale maggiorato di due punti. Nel caso in esame, le Entrate avevano applicato il primo comma dell’articolo 21 del Dpr 131 del 1986 (Testo unico sull’imposta di registro), secondo cui, se un atto contiene più disposizioni che (per la loro intrinseca natura) non derivano necessariamente le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta a imposta come se si trattasse di un atto distinto.

Dal canto suo, il ricorrente ha sostenuto che la norma di riferimento andava invece individuata nel secondo comma dello stesso articolo 21, per il quale «l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa» quando le disposizioni dell’atto discendono le une dalle altre.

Nell’accogliere il ricorso, la Ctp afferma che, con il termine «disposizioni», l’articolo 21 si riferisce «al concetto di negozio giuridico» e non alle singole obbligazioni che nell’atto trovano la loro fonte unitaria: infatti, tali obbligazioni, non essendo «atto che possa sopravvivere autonomamente, non costituiscono atto tassabile». Peraltro - prosegue la Ctr - l’articolo 20 del Dpr 131/1986 (relativo all’«Interpretazione degli atti» da sottoporre a imposta di registro) attribuisce rilievo alla causa reale del negozio e alla regolamentazione degli interessi perseguiti dai contraenti, che si possono esprimere «anche mediante una pluralità di pattuizioni collegate».

Di conseguenza, la previsione dell’onere di corrispondere un determinato importo in caso di omesso versamento dei canoni costituisce una pattuizione che, derivando direttamente dall’obbligazione di pagamento di quanto dovuto, è priva dell’autonomia che ne giustificherebbe la tassazione. Così la Ctp Milano ha annullato l’avviso.

La pronuncia in esame è giunta a conclusioni opposte a quelle contenute nella sentenza 618/1/2019 della stessa commissione, depositata il 13 febbraio (si veda Il Sole 24 Ore dello scorso 18 marzo). Pronuncia con la quale i giudici meneghini avevano, invece, sostenuto che alla clausola che dispone la maggiorazione degli interessi legali in caso di mora del conduttore si deve applicare, per analogia, la disciplina relativa alla registrazione degli atti sottoposti a condizione sospensiva (articolo 27 del Dpr 131/1986); atti per i quali è prevista l’imposta fissa di 200 euro e, al momento dell’eventuale verificarsi della condizione stessa, quella proporzionale nella misura del 3% (al netto dei 200 euro già versati).

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