Gestione Affitti

L’affitto non si presume sulla base di «comportamenti concludenti»

di Luca Bridi


Il contratto di locazione non può essere desunto per comportamenti concludenti o da una manifestazione tacita di volontà. Così si è espressa la III^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 29313/17, Relatore Consigliere Dott. Marco Rossetti, depositata il 7 dicembre 2017.
La vicenda nasce nel 2005, quando alcuni dipendenti convennero in giudizio la società loro datrice di lavoro dinanzi al Tribunale di Salerno, esponendo di avere occupato “pacificamente e in buona fede” nove appartamenti di proprietà dell'ente convenuto e di avere diritto - in quanto dipendenti - all'assegnazione degli immobili di proprietà dell'ente, oltre ad avere pagato “somme di denaro” a titolo di canoni di locazione per gli immobili e di aver eseguito vari lavori di ristrutturazione: per questi motivi chiedevano al Giudice l'accertamento dell'avvenuta stipula di altrettanti contratti di locazione per facta concludentia.
I cosiddetti comportamenti concludenti (in latino appunto, facta concludentia) sono in diritto una forma di manifestazione tacita della volontà negoziale, dalla quale è desumibile interpretativamente una volontà contrattuale che non si trova dichiarata in modo espresso.
Non esiste, in sintesi, un significato ordinariamente diretto o convenzionale predeterminato del comportamento in cui si esplica la manifestazione: la volontà del soggetto è ricostruita in via logica in base all'analisi del contegno tenuto (Cass. 3296/1996). Esempi tipici sono l'automobilista che parcheggia l'auto in un posteggio a pagamento o il comportamento di chi salendo sull'autobus manifesta la volontà di concludere un contratto di trasporto.
La domanda dei dipendenti veniva rigettata sia da dal Tribunale sia dalla Corte d'Appello territorialmente competente: in particolare il Giudice di primo grado specificava per l'appunto come l'occupazione fosse abusiva ed escludeva che la società convenuta avesse tacitamente assentito, ovvero avesse stipulato alcuna locazione con un comportamento concludente.
La Corte D'Appello, inoltre, osservava poi che nessun contratto di fatto poteva ritenersi validamente stipulato per difetto della prova di volontà dell'ente Poste e la vicenda giungeva quindi alla Suprema Corte dove i ricorrenti hanno lamentato la violazione e la scorretta interpretazione degli articoli 1571 e ss. cc. nonché dell'art. 13 Legge 9.12.1998 n. 431.
Vale qui la pena di sottolineare che per la Pubblica Amministrazione deve essere nettamente esclusa l'applicazione della materia di contratti stipulati o rinnovati tacitamente, in quanto è necessaria la forma scritta a pena di nullità (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 3^ sent. 6406/98; Cass. Sez. 3^ sent. 6966/98; Cass. Sez. 3^ sent. 188/00; Cass. Sez. 6 - 3 ord. 13886/11; Cass. Sez. 3^ sent. 9165/02; Cass. Sez. 3^ sent. 11649/02; Cass. Sez. 3^ sent. 258/05; Cass. Sez. 3^ sent. 1223/06).
Diversamente, nella disciplina dei rapporti tra privati, quale, ad esempio, quella dettata in tema di rinnovo tacito del contratto di locazione è noto che “la volontà di prorogare tacitamente il contratto di locazione pervenuto a scadenza può essere manifestata anche tacitamente, ma deve essere inequivoca” (così Cass. n. 8729.2011); ancora, si sottolinea che “la rinnovazione tacita del contratto di locazione non può desumersi dal fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall'accettazione dei canoni e neppure dal ritardo con il quale sia stata promossa l'azione di rilascio, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto” (in tali termini Cass. n. 27731.2005).
In senso conforme anche Cass. n. 10644.2002 per cui: “la rinnovazione tacita del contratto di locazione non è desumibile dal solo fatto della permanenza del conduttore nell'immobile oltre la scadenza del termine, ma occorre che dall'univoco comportamento tenuto dalle parti dopo la scadenza del contratto possa desumersi la tacita volontà di entrambe di mantenere in vita il rapporto locativo” (nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza che aveva ritenuto tacitamente rinnovato il contratto per il solo fatto che il locatore aveva accettato i canoni versati dal conduttore successivamente alla scadenza del contratto, rilevando che era stato, invece, accertato che tale accettazione era avvenuta “come corrispettivo della ritardata restituzione dell'immobile” e, dunque, come adempimento dell'obbligazione posta a carico del conduttore ex art. 1591 cod. civ.)
A tutto quanto sopra si aggiunga anche la cristallina interpretazione di Cass. n. 8833.2007; Cass. n. 13346.2006; Cass. n. 5464.2006; Cass. n. 2211.1990 ed anche Cass. n. 8753.1994: “poiché la rinnovazione tacita del contratto di locazione ai sensi dell'art.1597 cod. civ., postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volontà di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell'immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto”; per Cass. n. 269.1998: “se il locatore ha comunicato al conduttore la disdetta (art. 1596 cod. civ.), anche se per un considerevole lasso di tempo - nella specie oltre quattro anni, in relazione ad un immobile adibito ad uso abitativo - non ha agito in giudizio per il rilascio, ed ha continuato a percepire i canoni di locazione, non perciò il contratto si è rinnovato (art.1597 ultimo comma cod civ.) mancando una volontà contraria a quella manifestata, si che la permanenza del conduttore costituisce occupazione di fatto”.
Tali e tanti principi, pacifici e consolidati, hanno portato la Corte al rigetto del ricorso e alla condanna alle spese.

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