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I mercoledì della privacy: telecamere su vie pubbliche possibili in accordo con i Comuni

Possono essere installate anche da privati, ma i dati raccolti devono essere trattati con grande cautela

di Carlo Pikler – Responsabile Centro Studi - Privacy and Legal Advice

Importante sentenza del Tar Lazio pubblicata il 17 marzo 2020 , la numero 03316 che riprende un orientamento più volte caldeggiato da chi scrive, relativamente all'installazione di telecamere che riprendono aree di pubblico transito.

Si tratta di una pronuncia destinata a fare scuola considerando che ribadisce un concetto che non era stato ripreso all'interno delle Edpb 3/2019 in tema di videosorveglianza, pubblicate il 29 gennaio 2020.

I fatti
Tutto nasce dall'assemblea della comunione che aveva deliberato il posizionamento dei cartelli riportanti la dicitura “Proprietà privata” negli accessi (chiusi da apposita sbarra agli estranei), e la predisposizione di un sistema di videosorveglianza, a mezzo telecamere, solo con riferimento a questi unici due varchi, idoneo a riprendere unicamente le macchine e le persone in entrata-uscita dal centro, nel territorio di competenza dello stesso.

L'impianto di videosorveglianza, regolarmente deliberato e installato, veniva rimosso con ordinanza sindacale nel novembre 2019. Nel giudizio, parte ricorrente (un centro residenziale) agisce dinanzi al Tar del Lazio, per l'annullamento dell'ordinanza sindacale con la quale il Comune di Rignano Flaminio (in provincia di Roma) le ha ordinato la rimozione dei sistemi di videosorveglianza installati all'ingresso-uscita del centro residenziale e la relativa segnaletica, in applicazione della disciplina relativa al “pacchetto sicurezza” in materia di sicurezza urbana di cui alla legge 125 del 24 luglio 2008.

Le motivazioni del giudice
Primo elemento di assoluta rilevanza della sentenza lo si trova nel passaggio nel quale il Giudice amministrativo evidenzia che, se le strade siano comunque aperte al pubblico transito, si considerano soggette a servitù di uso pubblico.

Per “strada aperta al pubblico transito”, secondo il giudice amministrativo, si intende che:«questa (Consiglio di Stato, sez. IV, 10 ottobre 2018, numero 5820), sia iscritta nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico». Il requisito in questione comporta una presunzione di pubblicità dell'uso, superabile soltanto con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù.

La servitù di uso pubblico
L’ orientamento è coerente con il principio secondo il quale l'istituto della “dicatio ad patriam”(ossia il modo di costituzione di una servitù di uso pubblico mediante il comportamento del proprietario) è connotato da elementi di fatto che denotino un comportamento del proprietario di un bene che lo mette in modo univoco a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione (Cassazione civile 4416/2017; Consiglio di Stato 16 gennaio 2017 n. 97; Tar Lazio, 12 luglio 2016 n. 7967; Cassazione, 12 agosto 2002, n. 12167, nonché Consiglio di Stato, 24 maggio 2007, n. 2618 e 28 giugno 2004, n. 4778).

La prova della proprietà esclusiva
Specifica poi il Giudice che, considerato il valore dichiarativo e di presunzione semplice della natura pubblica (o aperta al pubblico) della via derivante dalla sua inclusione in elenchi comunali, spetta alla parte privata offrire, a fondamento della propria azione, la prova della proprietà privata della via o dell'area, mediante produzione dei necessari titoli costitutivi del diritto, quali atti di acquisto a titolo derivativo (compravendita o altri atti traslativi) oppure originario (come nel caso della realizzazione della strada in esito ad una convenzione di lottizzazione), con le corrispondenti risultanze catastali. In alternativa andrà dimostrata l'inesistenza del diritto di pubblico transito, mediante l'allegazione di condizioni di fatto attuali che siano ostative all'accesso generalizzato.

L’impianto privato che riprende area pubblica
Altro passaggio fondamentale della pronuncia è nella parte in cui questa rimanda a quanto dedotto dall'Autorità Garante, secondo la quale: «l'impianto privato di videosorveglianza non deve inquadrare le zone soggette a pubblico passaggio; per queste ultime sarebbe competente solo il Comune a disporre l'installazione di impianti di videosorveglianza ai sensi del Dl 11/2009, convertito in legge 38/2009, al fine di prevenzione dei reati e controllo del territorio (mentre prima queste finalità non erano perseguibili in quanto di competenza delle autorità di polizia)».

Se, infatti, gli impianti utilizzati dai Comuni sono destinati alla tutela della sicurezza urbana, le regole in materia di protezione dei dati personali sono dettate dalla direttiva 2016/680 (direttiva Polizia) e non dal regolamento europeo 2016/679 (Gdpr). Secondo il giudice amministrativo anche i privati possono installare telecamere rivolte verso aree pubbliche, ma in questo caso occorre un accordo formale col Comune che limita l'uso delle riprese esterne ai soli Comuni per fini di polizia, con l'ulteriore precisazione che le forze di Polizia locali hanno l'accesso esclusivo alle telecamere installate per motivi di sicurezza.

I dati raccolti dagli impianti
Inoltre, per l'installazione di questi impianti occorre predisporre le misure minime di sicurezza, in particolare i dati devono essere conservati in modo da garantire la perdita, la distruzione anche accidentale e soprattutto l'accesso di persone non autorizzate agli stessi (eventualmente predisponendo modalità di cifratura dei dati). Inoltre, devono essere predisposte misure organizzative per la cancellazione dei dati alla scadenza, o dei dati non più necessari.

Infine, gli interessati, cioè i soggetti ripresi, devono poter accedere alle riprese che li riguardano e verificare le modalità di utilizzo dei dati raccolti. L'illiceità delle riprese comporta non solo l'inutilizzabilità delle registrazioni, ma anche il provvedimento di blocco e divieto di trattamento dei dati, da parte del Garante (sul punto, Cassazione civile , 1479/2012 e la deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali in data 8 aprile 2010; in merito ai poteri del Sindaco, si veda anche l'articolo 54 del dlgs 267/2000, come modificato dall' articolo 6 del Dl 23 maggio 2008 numero 92 , convertito, con modificazioni, dall' articolo 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, numero 125).

Se, invece, mancasse l'accordo con i Comuni di riferimento, l'installazione di impianti di videosorveglianza da parte di privati è consentita solo in rapporto all'area di stretta pertinenza della proprietà privata e con esclusione di aree pubbliche o soggette al pubblico transito.

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