Gli specialiCondominio

La videosorveglianza e l’assemblea

di Giuseppe Marando


Sicurezza o riservatezza?
Con gli sviluppi della moderna tecnologia il dilemma ha pervaso per molti anni i luoghi di vita comune richiedendo l'intervento dei pubblici poteri, legislativi e amministrativi, per-ché al privilegio dell'un fattore poteva corrispondere, come nel caso appunto della video-sorveglianza, il sacrificio dell'altro.
Due pronunce della corte di legittimità dei mesi scorsi sono tornate sul tema delle tele-camere poste in ambito privato, la prima per affermarne la legittimità sul piano penale (ai fini probatori in una causa per danneggiamento di autovettura) delle riprese che, in quanto rivolte a luoghi (ingresso, cortile e balconi di terzi) bensì privati ma liberamente visibili dall'esterno senza particolari accorgimenti, non erano lesive di alcuna riservatezza (Cass. pen., sentenza 22093/15). L'altra, invece, giudicando ai soli effetti civilistici, confer-ma la pronuncia di merito sulla inammissibilità delle telecamere posizionate in modo da riprendere la proprietà degli attori e comunque la strada in cui esercitavano il loro diritto di servitù di passaggio (Cass., Sez. VI, ordinanza 12139/15).
Il problema connesso alle due sentenze, e meglio evidenziato da quelle pregresse, ri-conduce alla necessità di contemperare gli accennati e confliggenti diritti relativi alla ri-servatezza e alla protezione della persona e dei suoi beni. Va premesso che la tutela penale della "riservatezza" ha una dimensione diversa e più ristretta di quella civile. Il giudi-ce penale se ne occupa solo se la violazione configuri il reato ex articolo 615-bis cod. pen. (interferenze illecite nella vita privata) con riguardo al "domicilio" (articolo 14 della Costi-tuzione), la cui nozione esclude le aree comuni dell'edificio, in quanto assimilabili a luo-ghi esposti al pubblico (vedi Cass. pen., sentenza 44156/08 e, specificamente per il par-cheggio, Cass. pen., sentenze 71/13 e 44701/08). Sul piano civile, invece, manca la distin-zione fra luoghi privati e luoghi esposti al pubblico e il giudice prende in considerazione il diritto intangibile alla riservatezza, riconosciuto dall'articolo 2 della Costituzione, in qua-lunque posto venga violato, intervenendo in base alla sua competenza (rimozione degli impianti o loro diversa collocazione, eventuale risarcimento del danno, decisioni sui ricor-si contro i provvedimenti del Garante ecc.).

Nel condominio telecamere decise a maggioranza
Per quanto concerne il condominio, che qui interessa, dopo un confuso periodo di incer-tezze che non ha visto indirizzi concordi, la riforma del 2012 ha colmato la lacuna norma-tiva introducendo, con l'articolo 1122-ter, la possibilità della videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio, con apparecchi posti sulle stesse, purché deliberata con il quorum di almeno 500 millesimi (espressi dalla maggioranza degli intervenuti).
I passati contrasti si appuntavano sulla competenza dell'assemblea condominiale a con-trollare, sia pure nell'ambito delle parti comuni, le persone e il comportamento degli abi-tanti dell'edificio e di tutti coloro che possono frequentare, anche occasionalmente, il condominio. Un primo orientamento esclude per tale organo il potere di far installare impianti di videosorveglianza all'interno di edifici condominiali, ravvisando un compor-tamento lesivo del diritto alla riservatezza dei condomini: Trib. Milano 6 aprile 1992; Trib. Nola 3 febbraio 2009 (per il quale manca il requisito della proporzionalità tra la sicurezza di uno e il danno ai tanti); Trib. Salerno 14 dicembre 2010 e Trib. Taranto 8 giugno 2012 (che ritengono gli impianti non finalizzati a servire i beni in comunione, mentre la tutela delle persone e delle cose dei condomini esula dalle attribuzioni dell'assemblea). Per altri la liceità delle riprese (sugli spazi comuni) restava subordinata al consenso unanime dei condomini (Trib. Varese, sentenza 1273 del 16 giugno 2011), mentre un ulteriore indirizzo ri-teneva sufficiente un'apposita delibera assembleare adottata a maggioranza (Trib. Roma, sentenza 7106 del 30 marzo 2009).
Nessuna difficoltà, invece, ad ammettere gli apparecchi personali da parte dei singoli condòmini, alla sola condizione che venisse inquadrato il solo spazio di pertinenza dell'appartamento (porta di accesso alla propria abitazione) e non il pianerottolo e le sca-le comuni o addirittura gli spazi esclusivi degli altri abitanti, a meno che non esistesse l'unanimità dei consensi (Trib. Varese , sentenza 1273/11 cit.; Trib. Trani 28 maggio 2013; Trib. Salerno, ordinanza 30 aprile 2015: accolto in quest'ultimo caso il reclamo perché l'angolo visuale mobile e la fun-zione di auto tracciamento rendevano la telecamera orientabile senza interventi manuali, consentendo di inquadrare anche il pianerottolo e le scale, con le persone che vi transitavano).
La delicatezza e complessità della situazione aveva indotto il Garante per la protezio-ne dei dati personali a segnalare a Parlamento e Governo (13 maggio 2008) la necessità di regolamentare la videosorveglianza realizzata dalla compagine condominiale in aree co-muni (quali portoni d'ingresso, androni, cortili, scale, aree di accesso a parcheggi o dedicate a servizi comuni). I profili indicati sono due: individuazione dei soggetti legittimati a decidere l'installazione degli impianti (comproprietari o anche conduttori); numero di voti necessari per l'approvazione della delibera (unanimità o maggioranza). Precisa il Garante ch'è necessario conciliare l'esigenza volta a preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni comuni con la preoccupazione che i trattamenti effettuati, nel rendere più agevolmente conoscibili a terzi informazioni relative alla vita privata di chi vive in edifici condominiali, come pure abitudini e stili di vita individuali e familiari, siano idonei a incidere sulla libertà degli interessati di muoversi, non controllati, nel proprio domicilio e all'inter-no delle aree comuni.
Il legislatore, con l'articolo 1122-ter, ha risposto però a una soltanto delle esigenze prospettate dal Garante, trascurando di pronunciarsi sulla tutela della riservatezza del conduttore, che non ha titolo per esprimere la propria volontà in materia. La sua situazio-ne, sotto il profilo della partecipazione all'assemblea e del voto, rimane quindi immutata; mentre per quanto concerne l'installazione personale delle apparecchiature è identica a quella degli altri condòmini, di cui si dirà appresso.
Come può rilevarsi, sotteso alla richiesta del Garante è il tacito riconoscimento di un potere del condominio di ridimensionare (anche) a maggioranza la sfera di tutela della riservatezza, in vista di altri necessari benefici. Nel suo provvedimento dell'8 aprile 2010, che regola questa specifica materia, il Garante, premesso che l'immagine della persona costituisce un "dato personale" di cui all'articolo 5 del D.Lgs. 196/03 (cosiddetto "Codice della privacy"), indica fra i molteplici fini della videosorveglianza l'incolumità degli individui, la protezione della proprietà e l'acquisizione di prove.
Difficile, pertanto, condividere quelle decisioni (ora, comunque, superate dall'articolo 1122-ter) che escludevano dalla competenza dell'assemblea ogni delibera sull'adozione della videosorveglianza. Gli intrusi possono danneggiare anche le parti e gli impianti co-muni, e questo sarebbe già sufficiente a giustificare le telecamere; ma in ogni caso l'assemblea può anche istituire un servizio per i condomini, come avviene, per esempio, per la "polizza fabbricati" che comprende anche la responsabilità civile verso terzi con il fine di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell'edificio (Cass., sentenza 16011/10). Il nodo di fondo è quello dei voti necessari per l'approvazione della delibera, che se inci-de sui diritti individuali richiede l'unanimità. Ma proprio per effetto del necessario con-temperamento degli interessi in gioco, tutti meritevoli di protezione, in questo caso viene stabilita la maggioranza qualificata di 500 millesimi, la stessa prevista per le cosiddette "innovazioni agevolate" dell'articolo 1120, comma 2.
La legittimità della delibera, oltre che subordinata alla suddetta maggioranza e agli inter-venti solo sulle parti comuni, rimane altresì vincolata alla osservanza delle disposizioni indicate dal Garante e dal "Codice" con gli adattamenti per la specifica materia, che si rac-chiudono nel principio di non determinare un'ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle li-bertà fondamentali degli interessati.

Le regole applicabili al condominio
Fra le regole applicabili al condominio si possono richiamare:
- segnalazione delle telecamere con appositi cartelli;
- indicazione dell'eventuale collegamento con le forze dell'ordine;
- protezione dati con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l'accesso alle sole persone autorizzate;
- conservazione delle registrazioni per un periodo tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore, salvo che esistano specifiche esigenze;
- integrale cancellazione automatica delle informazioni allo scadere del termine previsto, anche mediante sovra-registrazione;
- ripresa delle sole aree comuni da controllare (accessi, garage ecc.), evitando luoghi circostanti e particolari che non risultino rilevanti (strade, edifici, esercizi commer-ciali ecc.);
- diritto degli interessati identificabili di accedere ai dati che li riguardano, per le verifiche conseguenti.
Il consenso delle persone coinvolte è sostituito dall'alternativa del "bilanciamento degli interessi" (art. 24 Codice), perché «si tende a conseguire un legittimo interesse attraverso la raccolta di mezzi di prova o la tutela di persone e beni (rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo) o la prevenzione di incendi o di sicurez-za del lavoro».

Il quantum dei voti necessari
Risolta l'alternativa fra maggioranza e unanimità, per il quantum dei voti necessari, la pre-visione di legge si articola su due scarni ma essenziali presupposti che sono cumulativi:
1. il posizionamento delle telecamere su parti comuni;
2. la ripresa di parti comuni.
L'indicazione in delibera può avvenire anche per relationem, con la formula sintetica "ai sensi dell'articolo 1122-ter del codice civile"; ma è prevedibile che l'assemblea si faccia ca-rico, opportunamente, di individuare le parti comuni interessate dall'installazione e dalle riprese.
Se la delibera condominiale estendesse la sorveglianza anche a parti private dei condo-mini, sarebbe addirittura nulla per lesione di diritti individuali; ove l'amministratore la eseguisse si configurerebbe il suddetto reato dell'articolo 615-bis. Qualora invece le ripre-se sconfinassero in luoghi pubblici esterni all'edificio, verrebbe meno il reato, ma reste-rebbero le sanzioni civili.
La decisione assembleare obbliga tutti i condomini per la regola dell'articolo 1137, senza possibilità per i dissenzienti di invocare l'esonero dalla spesa in base all'articolo 1121 (In-novazioni gravose e voluttuarie), perché il servizio non è suscettibile di utilizzazione sepa-rata (a parte, poi, ogni valutazione della voluttuarietà). L'amministratore deve eseguire la delibera nel pieno rispetto delle condizioni di legittimità, per non incorrere in responsabi-lità personali.
Esulano dalla previsione dell'articolo 1122-ter gli impianti individuali dei condòmini per la loro tutela personale e patrimoniale, che non abbisognano di alcuna autorizzazione as-sembleare, nemmeno se posizionati su parti comuni, il cui uso è consentito (anche con modifiche) dall'articolo 1102 nei limiti dallo stesso previsti che ricomprendono, per paci-fica acquisizione giurisprudenziale, anche la salvaguardia di stabilità, sicurezza, decoro ar-chitettonico dell'edificio. Qualora i dati (v. punto 6.1 del provvedimento del Garante) non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi, non si applica la disciplina Codi-ce della privacy (quindi, per esempio, niente cartello che segnali la presenza della video-camera), a parte l'adozione delle cautele previste dall'articolo 5, comma 3 del Codice (in tema di responsabilità civile e sicurezza dei dati) a tutela dei terzi. Le riprese devono limi-tarsi solo agli spazi strettamente privati (quindi la porta d'ingresso e non il pianerottolo, il proprio posto auto e non l'intero garage), diversamente si può incorrere nel reato sopra menzionato articolo 615-bis cod. pen. con l'aggiunta dei provvedimenti del giudice civile. Va segnalata, tuttavia, una sentenza di merito che consente la ripresa personale di parti comuni se di fatto non sussiste lesione della riservatezza (Trib. Monza, sentenza 1087 del 18 aprile 2012: inquadrato un balcone comune inutilizzato ma dal quale erano entrati i vandali danneggiando la proprietà della condomina).

E cosa succede per il conduttore?
Le stesse regole si applicano al conduttore, poiché questi ha il godimento, oltre che dell'unità locata, anche delle cose e dei servizi comuni, nella stessa misura spettante al proprietario-locatore, secondo le regole dell'articolo 1102 (e gli eventuali accordi stipulati con il contratto di locazione), tanto che è ammessa azione diretta contro il conduttore per far cessare l'uso non conforme al 1102 o al regolamento di condominio (Cass., sen-tenza 2483/12).

Può il condòmino installare direttamente telecamere con l'autorizzazione dell'assemblea?
Due questioni particolari si pongono sul tema in esame: se il condòmino può installare di-rettamente telecamere ai sensi dell'articolo 1122-ter con l'autorizzazione dell'assemblea, per riprendere qualunque parte comune (per esempio anche la sua scala); se può farlo, altresì, di sua iniziativa a norma dell'articolo 1134 in tema di spese urgenti per i beni co-muni (da ripartire poi fra tutti).
Sul primo quesito, si può osservare che nella logica dell'articolo 1122-ter deve ravvisarsi la tutela di un interesse collettivo, che presiede a ogni decisione assembleare, e dunque la videosorveglianza riguarderà le parti comuni che si potrebbero definire di "utilità genera-le" o "diffusa" (come per esempio gli ingressi principali, anditi e pianerottoli adiacenti agli stessi scale, cortili, aree di parcheggio, e simili). Va ricordato che nella sua segnalazione ai poteri pubblici il Garante parlava di "intera compagine condominiale" e di trattamenti da effettuare "per il tramite della relativa amministrazione condominiale".
In teoria potrebbe formularsi l'ipotesi (di scuola) che il condominio, riluttante ad accollarsi l'onere economi-co per la videosorveglianza, autorizzi un condòmino a provvedere a spese proprie; ma l'operazione dovrebbe avvenire con le stesse modalità che avrebbero caratterizzato una installazione a carico della collettività, a beneficio di un numero indeterminato di parte-cipanti, con riguardo alle parti comuni coinvolte per l'installazione e il controllo, con una gestione a cura dell'amministrazione (come per tutte le delibere) nel rispetto delle varie prescrizioni del "codice". A maggior ragione è da ritenere che l'assemblea non possa auto-rizzare un condomino a una videosorveglianza "settoriale" (per esempio sulla rampa di scale) attigua alla propria abitazione, poiché mancherebbe un interesse condominiale, cioè collettivo, ed addirittura si verrebbe ad avallare una violazione della riservatezza dei vicini di casa (v. per un riferim. Trib. Salerno del 2015 cit.).
L'esigenza personale di sicurezza può essere appagata, senza bisogno di autorizzazione, con l'impianto singolo limitato ai propri spazi privati, che oltretutto esime dal trattamento dei dati e dall'applicazione delle altre disposizioni del "Codice".
Sul secondo punto, un precedente del giudice di pace ritiene applicabile (in via equita-tiva) il principio dell'articolo 1134, con spesa quindi a carico di tutti i condomini, per il controllo di un'area condominiale di parcheggio e del relativo ingresso a fronte di varie azioni di danneggiamento in precedenza denunciate; il rigetto de ricorso in cassazione, per la mancata proposizione di motivi di diritto sul punto, ha reso definitiva la sentenza di primo grado (Cass., sentenza 71/13 cit.).
A nostro avviso, siffatta pronuncia di merito sembra travalicare il dettato dell'articolo 1134, anche nella nuova versione ("assumere la gestione delle parti comuni"), che va letta alla luce dell'articolo 1122-ter. In realtà il condomino viene, così, a creare un ulteriore servizio, un'autentica innovazione, che per legge è devoluta alla decisione di una elevata maggioranza assembleare, con delibera che va eseguita da chi è abilitato a farlo, cioè l'amministratore. I danni, inoltre si erano già verificati e non è detto che si sarebbero ri-petuti; e se poi riguardavano i beni privati il condomino avrebbe potuto provvedere con l'impianto individuale. Non va dimenticato, infine, che l'urgenza presuppone l'impossibilità di procrastinare l'intervento senza danno o pericolo (Cass., sentenza 4330/12) e di avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condòmini (Cass., sentenza 4364/01); o anche la necessità di evitare che la cosa comune arrechi a sé o a terzi o alla stabilità dell'edificio un danno ragionevolmente imminente, ovvero di restituire alla cosa comune la sua piena ed effettiva funzionalità (Cass., sentenza 20151/13 e sentenza 27519/11).