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Scale e vano ascensore sono condominiali, salvo prova contraria

Rientrano tra le parti comuni del fabbricato ai sensi dell'articolo 1117 Codice civile, se non risulta diversamente dal titolo di acquisto delle singole unità immobiliari

di Giuseppe Zangari

Un condominio muove causa al proprietario dell'appartamento posto in cima al fabbricato al fine di accertare la natura comune dell'ultima rampa di scale e del pianerottolo che consentono l'accesso al lastrico solare e al locale ascensore sul terrazzo, e conseguentemente di condannarlo a ripristinare lo stato originario dei luoghi rimuovendo la porta collocata sul suddetto tratto di scala, oltre al risarcimento del danno.
Il proprietario si costituisce contestando la domanda del condominio e, in ogni caso, chiedendo accertarsi che la scala e il pianerottolo sono stati comunque acquistati per usucapione.

La proprietà comune
L'azione del condominio trova accoglimento, fatta eccezione per il preteso risarcimento del danno (Tribunale di Messina, sentenza 613/2021).Viene in rilievo il rogito di acquisto dell'appartamento del convenuto, stipulato il 28 ottobre 1997, da cui risulta essere stata trasferita unicamente la proprietà del lastrico solare, mentre per le parti comuni del fabbricato, tra cui scale e pianerottoli, vige l'ordinaria proporzionale comproprietà: come osservato dal giudice siciliano: «Il titolo di acquisto non fa menzione dell'ultima rampa della scala condominiale e dell'annesso pianerottolo», e «non vi è neppure menzione della porta collocata in prossimità dell'ultima rampa delle scale, di cui si chiede la rimozione».

Pertanto, stante l'assenza di una diversa regolamentazione pattizia, l'intera scala, compresa l'ultima rampa e il pianerottolo, è parte comune ai sensi dell'articolo 1117 del Codice civile, posto che costituiscono «elementi necessari alla configurazione di un edificio diviso per piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva e mezzo indispensabile per accedere al tetto o alla terrazza di copertura» (Cassazione 15444/2007).Analogo ragionamento è applicabile al vano ascensore: in assenza di una diversa convenzione detto spazio, strumentale all'utilizzo dell'impianto condominiale, ne condivide la natura di bene comune (Cassazione 3624/2005).

L'acquisto per usucapione
Neppure merita accoglimento la tesi secondo cui l'acquisto della scala e del pianerottolo sarebbe avvenuto per usucapione.Da un punto di vista eminentemente processuale, il Tribunale rileva anzitutto che l'omessa chiamata dei singoli condomini, che assumono la veste di litisconsorti necessari ai sensi dell'articolo 102 del Codice di procedura civile, impedisce la corretta instaurazione del contraddittorio: «Secondo giurisprudenza consolidata, in tema di condominio negli edifici, qualora un condomino agisca per ottenere l'accertamento della proprietà esclusiva su un bene di proprietà comune, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la domanda sull'estensione dei diritti dei singoli».

Nel merito, l'esistenza di un possesso ventennale continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico del bene, accompagnato dall'intenzione di esercitare un potere sulla cosa, è smentito dalle risultanze istruttorie.Da un lato, l'atto di acquisto non fa menzione della porta a chiusura dell'ultimo tratto di scala, dal che è verosimile ritenere che sia stata installata successivamente.Dall'altro lato, anche considerando che il possesso fosse iniziato al momento della stipula del rogito (28 ottobre 1997), il Giudice ritiene che la sottoscrizione unanime del regolamento di condominio, avvenuta il 24 settembre 2007, abbia rappresentato un atto interruttivo del possesso, poiché con esso si afferma la condominialità delle parti in contesa: «Il Regolamento costituisce, per il condominio, una rivendicazione della proprietà dell'intera scala e il riconoscimento del carattere condominiale della scala, compresa l'ultima rampa».

Il risarcimento del danno
Irricevibile è invece la pretesa di ristoro dei disagi patiti dai condòmini per effetto della chiusura dell'ultimo tratto di scala.Il Tribunale non condivide l'assunto attoreo e rinvia a una pronuncia emessa in un analogo caso di occupazione senza titolo: «Il danno derivante dal mancato godimento di tale bene non può ritenersi di fatto, ma deve essere allegato e dimostrato dal soggetto leso. La tesi contraria finisce, infatti, per esonerare il danneggiato anche dagli oneri di allegazione, con conseguente lesione del diritto di difesa di controparte, costruendo una presunzione di natura sostanzialmente punitiva, in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni unite della Cassazione nella sentenza 16601/2017, secondo cui il superamento della finalità compensativa dello strumento risarcitorio è riservato al legislatore» (Cassazione 13071/2018).

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