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Mancata riconsegna dell’immobile alla fine del contratto transiorio

di Valeria Sibilio

Trattare di locazione ad uso non abitativo vuole dire anche conoscere le norme che regolano le attività di carattere transitorio. Un particolare al centro della vicenda esaminata dalla Cassazione nella sentenza 18942 del 2019.
Una Associazione aveva concesso in locazione, per l'esclusivo svolgimento dell'attività di assistenza sanitaria, due immobili ad un Consorzio di cooperative sociali, con decorrenza dal 1° agosto 2008 fino al 31 luglio 2010, per il canone di euro 14.166,67. Con un altro contratto, locava un altro immobile in Roma, con decorrenza dal 1° dicembre 2008 fino al 31 luglio 2010, per il canone mensile di euro 1.931,67. Alla scadenza di entrambi i contratti, il Consorzio non riconsegnava gli immobili e, con scrittura privata del 3 maggio 2011 concedeva in affitto ad un altro Consorzio di Cooperative sociali il ramo d'azienda comprensivo delle attività assistenziali svolte negli immobili locati, determinando il subentro di quest'ultimo nella disponibilità degli immobili.
Ricorrendo al Tribunale di Roma, l'Associazione, in liquidazione, denunciava la mancata riconsegna degli immobili concessi in godimento alla scadenza dei contratti di locazione, deducendo il mancato pagamento dei canoni e delle indennità di occupazione, nonché la mancata registrazione dei contratti.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10443/2014, accoglieva la domanda, dichiarando risolti per inadempimento i contratti di locazione. Per cui, condannava i due Consorzi al rilascio degli immobili. In particolare, il primo, al pagamento di euro 240.210,67 per canoni scaduti e non pagati fino al 2 maggio 2011 e di euro 16.446,68 per imposte di registrazione, ed entrambi al pagamento di euro 434.655,09 per indennità di occupazione dal 3 maggio 2011 alla data del ricorso e di euro 16.098,34 mensili per indennità di occupazione sino al rilascio dei beni, ponendo, a carico di entrambi, le spese di lite. La Corte di Appello rigettava le impugnazioni del secondo Consorzio e dell'Associazione, confermando integralmente la decisione del giudice di prime cure e compensando parzialmente le spese di lite tra le parti. Il Consorzio, inoltre, veniva condannato al pagamento della metà del loro ammontare.
In Cassazione, il Consorzio proponeva ricorso principale basato su tre motivi. Nel primo motivo il ricorrente sosteneva che la soluzione adottata da entrambi i giudici di merito – relativa all'efficacia sanante retroattiva della tardiva registrazione – contrastava con le norme secondo le quali la violazione dell'obbligo di registrazione comporta la nullità del contratto, essendo la registrazione una condizione di validità del contratto di locazione.
Nel secondo motivo, il ricorrente sosteneva che l'Associazione in liquidazione, soggetta a pignoramento, avendo perso la legittimazione sostanziale a favore del custode fino al decreto di trasferimento dei beni, non fosse legittimata né a pretendere né a ricevere i canoni di locazione, i quali, invece, avrebbero dovuto essere acquisiti dalla procedura esecutiva in quanto destinati a soddisfare i creditori.
Con il terzo ed ultimo motivo, il Consorzio lamentava l'omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., costituito dall'istanza di sospensione del processo, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 295 e 337 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. L'Associazione, a sua volta, riteneva che la motivazione con cui la Corte d'Appello aveva rigettato l'istanza di sospensione del giudizio fosse solo apparente. La sentenza del Tribunale di Roma, dichiarando la legittimità della delibera di revoca della messa in liquidazione dell'Associazione, ove confermata, avrebbe dovuto privare gli attuali liquidatori dei poteri di rappresentanza dell'Associazione. Pertanto, ad avviso del ricorrente, la sentenza gravata, non ravvisando ragione per sospendere il giudizio avrebbe violato non solo l'art. 295 c.p.c., ma anche l'art. 337 c.p.c.
L'Associazione, ricorrendo incidentalmente, riproponeva il motivo di appello incidentale, censurando la sentenza impugnata per avere escluso la possibilità di stipulare contratti di locazione di durata transitoria per esigenze del locatore. L'art. 5 della I. n. 431/1998, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, consentirebbe che il contratto di locazione abbia una durata inferiore a quella minima disposta per legge al fine di “soddisfare particolari esigenze delle parti”, quindi di entrambe le parti, e non solo di quelle del conduttore. La Corte territoriale, violando il canone di interpretazione, avrebbe omesso di considerare che l'art. 3 del contratto, riportato nel controricorso, fissava una durata minima del rapporto locativo di 22 mesi, con possibilità di proroga da convenire espressamente, ove le operazioni di liquidazione avessero avuto una durata maggiore.
Non solo, ma, per il ricorrente, il giudice avrebbe omesso di esaminare la premessa del contratto da cui avrebbe dovuto evincere che il primo Consorzio era stato edotto della necessità della locatrice di liquidare il proprio patrimonio. Inoltre, si era reso disponibile a prendere in locazione l'immobile per una durata inferiore a quella legale con canone di locazione determinato proprio in ragione della durata transitoria del contratto. Una transitorietà indicata come motivo determinante del contratto.
L'Associazione aveva chiesto prontamente la restituzione degli immobili e, riscontrata l'inerzia del conduttore, aveva agito per ottenerne il rilascio. La conduttrice, dal canto suo, non aveva mai eccepito la vigenza del contratto di locazione. Sebbene, giuridicamente, solo il custode detenga la legittimazione sostanziale a richiedere il pagamento dei canoni e ad esercitare ogni altra azione, ciò non ha permesso l'accoglimento del mezzo impugnatorio, in quanto il motivo di ricorso non soddisfava il principio di autosufficienza e non consentiva di accertare la ricorrenza dei presupposti per applicare il predetto orientamento.
Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, giudicato infondato, il Consorzio ricorrente sollevava una eccezione di difetto di legittimazione attiva dell'Associazione, adducendo che nel corso del giudizio d'appello erano intervenuti fatti nuovi, aggiungendo che l'istanza cautelare fondata essenzialmente sul difetto di legittimazione passiva dapprima era stata accolta per poi essere, a seguito delle produzioni avversarie, ichiarata inammissibile, con ordinanza dell'8/07/2016 che riteneva che il Consorzio, fin da epoca precedente alla proposizione del giudizio d'appello, era stato informato della sussistenza delle procedure espropriative e che, comunque, visto l'accordo transattivo del 5 maggio 2016 tra le parti in causa, nessun documento poteva derivare dall'efficacia esecutiva della sentenza.
Il Consorzio ricorrente, inoltre, negava di essere stato a conoscenza dei procedimenti esecutivi immobiliari, in quanto non vi sarebbe prova che le lettere prodotte dall'Associazione fossero state ricevute. Un aspetto che ha precluso alla Corte l'esercizio dello scrutinio di legittimità, in quanto le argomentazioni erano state articolate con l'omissione della indicazione specifica delle risultanze processuali e degli atti su cui si fondano.
Anche il primo motivo di ricorso è stato giudicato, dagli ermellini, infondato, stabilendo che il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente l'indicazione del canone realmente pattuito, ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell'art. 1, comma 346, della I. n. 311/2004, ma, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, può comunque produrre i suoi effetti. Il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l'introduzione nell'ordinamento di una nullità per inadempimento” all'obbligo di registrazione, ma pur correggendone l'errore di sussunzione, non essendo stata la censura ricondotta alla corretta categoria logica dei vizi di cui all'art. 360 c.p.c., anche il motivo numero tre risulta infondato. In merito alla sospensione, la Corte ha ammesso che, quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato ai sensi dell'art. 337 c.p.c., sia imposta da una disposizione specifica, dovendosi attendere che sulla causa pregiudicante sia pronunciata una sentenza passata in giudicato. Pertanto, non ricorrendone nel caso di specie i presupposti, correttamente la Corte territoriale non aveva provveduto alla sospensione del giudizio in corso.
Anche il ricorso incidentale dell'Associazione è stato giudicato infondato. La nozione di locazione non abitativa di natura transitoria riferisce la transitorietà all'attività esercitata o da esercitare nell'immobile da parte del locatario senza altro riferimento alle esigenze di eguale natura del locatore, a differenza di quanto è previsto per le locazioni ad uso abitativo che, modificando la disciplina dettata dalla legge dell'equo canone, rapporta la transitorietà alle particolari esigenze delle parti, escludendo la rilevanza di una sfera predeterminata di interessi, allo scopo di rendere conveniente da parte dei locatori immettere nel mercato locatizio i propri immobili, senza preoccuparsi dei limiti minimi di durata stabiliti. La locazione ad uso non abitativo di carattere transitorio è, perciò, sottoposta agli artt. 27 e 35 della I. n. 392/1978 . L'art. 27 della I. n. 392/1978 prescrive per le locazioni di immobili destinati allo svolgimento di attività di impresa o di lavoro autonomo considerate nei primi tre commi (attività industriali, commerciali, artigianali, di interesse turistico, di lavoro autonomo, alberghiere e, comunque, tutte quelle rientranti nella definizione di cui all'art. 2195 c.c.: attività di produzione di beni e servizi, intermediazione nella circolazione dei beni, trasporto per terra, per acqua o per aria, bancaria o assicurativa, ausiliaria alle precedenti) una durata minima di sei anni (nove per gli immobili a destinazione alberghiera). Niente è stabilito quanto alla durata massima, ma è da ritenere che la locazione non può eccedere la durata di trent'anni.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso principale e quello incidentale, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità e dando atto al versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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