Lavori & Tecnologie

Regole e incentivi da riscrivere per rigenerare le città

di Giorgio Santilli

Abitare e spazi urbani, è ora di cambiare. Ci sono incentivi e regole da riscrivere per superare la dispersione e le contraddizioni delle politiche abitative, urbane, edilizie e dar vita a progetti di sviluppo sostenibile delle nostre città. Ne parleranno tremila architetti al congresso nazionale dal 5 al 7 luglio a Roma. E se ne parla tra le forze politiche al governo. Un esempio viene dai 28miliardi annui di lavori in casa incentivati da crediti di imposta 50 o 65% per recupero edilizio e risparmio energetico. M5S considera uno spreco destinare tante risorse pubbliche alla microedilizia della sostituzione di infissi o a forme di manutenzione abitativa più o meno ordinaria. Dal 2019 si cambia. Nella legge di bilancio si punterà a un «premio per una riqualificazione più complessiva» - come lo chiama il presidente della 10.a commissione del Senato, Gianni Girotto - col duplice obiettivo di recuperare risorse e trasformare incentivi a pioggia in politica radicale e selettiva di risparmio energetico degli edifici e rilancio delle città sostenibili.

Il Consiglio nazionale architetti si porta avanti sulla linea riformista radicale: il presidente, Giuseppe Cappochin, lancerà dal congresso la proposta al governo di una politica per le città che riveda gli attuali strumenti. «Seguiamo - dice - le città verdi europee, da Parigi a Copenaghen, da Malmoe a Nantes, che hanno pianificato lo sviluppo sostenibile con risorse pubbliche e private e un orizzonte lungo. Servono scelte per risolvere i problemi: densificazione urbana per riempire i vuoti che creano insicurezza; mixité per superare lo zoning monofunzionale e far convivere residenze, spazi pubblici e nuova produzione urbana; sostenibilità sociale; domanda di architettura di qualità che dobbiamo diffondere. Ci aiutano i punti di riferimento internazionali: l’agenda urbana Onu 2030, la traduzione europea nel patto di Amsterdam 2016, la dichiarazione di Davos del 22 gennaio 2018. E ci aiutano modelli come quello francese che, con la legge sulla rigenerazione urbana, ha portato 12 miliardi di investimenti pubblici e 44 totali».

In Italia ci sono incentivi da ricalibrare ma anche regole da riformare e principi nuovi da imporre alla prassi della Pa: meccanismi concorsuali e partecipativi, assunzioni di responsabilità, «nuove alleanze, anche interprofessionali» per ridare competitività e attrattività agli spazi urbani, coinvolgendo insieme privati e istituzioni, residenze e aree pubbliche, rigenerazione e nuovi servizi. Sotto la guida dei sindaci ma anche di nuove politiche nazionali che dovrebbero trovare perno in una figura di ministro (o delega ministeriale) per le aree urbane.

Una revisione che superi rigidità e frammentazione per lanciare una progettazione «di qualità». Il tema è l’architettura, non l’architetto. Ma i dati aiutano a capire la cesura fra passato e presente. L’architetto - secondo un’indagine Cresme su 3.600 cantieri - progetta oggi il 48% della nuova costruzione (gli ingegneri il 32%, i geometri il 20%) mentre il 41% degli 11,9 milioni di edifici residenziali costruiti in passato è realizzato in «autopromozione», il 40% è progettato da geometri e solo l’11% da architetti.

Nel documento del Cna al congresso sono segnalati vecchi arnesi normativi da buttare via. Come il regolamento sugli standard, DM 1444/1968, che ancora impone l’obbligo di prevedere parcheggi per auto private «quando le città hanno bisogno di politiche di potenziamento del trasporto pubblico locale e di mobilità dolce». O i concorsi di idee, sperimentati di recente per 51 scuole, con il risultato di aver indotto 1.238 progetti di fattibilità, costati enormi energie a centinaia di studi professionali. «Nei lavori pubblici - dice Cappochin - si deve adottare sempre il concorso di progettazione a 2 fasi che seleziona, tramite l’idea progettuale, 5 studi chiamati poi a presentare il progetto. Non dobbiamo inventare, ma imparare dalla Francia. E chi vince deve avere l’incarico: bisogna superare le obiezioni Anac che esclude l’incarico se al vincitore manca un requisito. Dobbiamo favorire una stagione di incarichi a un’ampia platea di professionisti». Se ne parla da anni ma sancire - con legge, linee-guida o adesione “culturale” della Pa - questo principio finora non è stato possibile. «Si assegnano ancora - dice Cappochin - incarichi sulla base di fatturati che favoriscono i “soliti noti”, quelli cioè che hanno sempre lavorato in passato, in assenza di trasparenza».

E la legge urbanistica 1150/1942. Sta sempre lì: nonostante le leggi regionali innovative, manca un quadro nazionale, anche fiscale, che incentivi la trasformazione piuttosto che il consumo di suolo. Le procedure restano faticose, le convenienze economiche incerte, gli istituti sperimentali da 25 anni (come la perequazione) disancorati da una disciplina nazionale, i livelli pianificatori ridondanti a ostacolare la convergenza fra fra mercato e regìa pubblica. «L’ultima legge regionale virtuosa - dice Cappochin - è quella Emilia-Romagna (n. 24/2017, ndr) che prevede un solo livello di pianificazione strategica ed evita di irrigidire la sfera della decisione pubblica, lasciando al mercato, sotto la regìa pubblica, di individuare singole operazioni di rigenerazione. Non basta, urge legge che consideri la rigenerazione intervento di pubblica utilità».

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