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Distanze legali tra edifici derogabili solo per i piani

di Guido Inzaghi e Simone Pisani

Le distanze legali tra edifici sono ancora inderogabili. Almeno quando il titolo abilitativo è riferito a edifici singoli. Dopo l’ultima sentenza della Corte costituzionale (la n. 41 del 24 febbraio 2017) alle Regioni restano pochi margini di autonomia in questo senso, nonostante il dettato letterale del decreto del Fare (Dl 69/2013) sembrasse aver ampliato i loro poteri.

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge del Veneto 4/2015 nella parte in cui consentiva che lo strumento urbanistico generale derogasse ai limiti di distanza tra edifici di cui al Dm1444/1968 anche nell’ambito di interventi «disciplinati puntualmente».

La pronuncia è in linea, appunto, con una serie di precedenti sorti in relazione all’attuazione da parte delle Regioni delle previsioni di cui all’articolo 2-bis del Tu edilizia, introdotto con il Dl 69/2013.

Il legislatore, con questo decreto sembrava aver introdotto una significativa innovazione al regime delle distanze in edilizia. Attraverso l’inserimento dell’articolo 2-bis è infatti stato previsto che, ferma la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà, le Regioni e le Province autonome avrebbero potuto prevedere, con proprie leggi e regolamenti, «disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444».

In attuazione di questa norma, alcune Regioni hanno emanato norme di portata ampia che, in concreto, consentivano deroghe alle regole in materia di distanze, sia nell’ambito di interventi assoggettati a pianificazione attuativa, sia nel caso di interventi soggetti ad attuazione diretta, ossia al solo conseguimento del titolo edilizio.

Ma il Governo ha impugnato dinanzi alla Consulta molte di queste norme regionali, contestando la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e rilevando come le Regioni avessero illegittimamente esteso al caso di interventi su singoli edifici, non oggetto di una più ampia trasformazione urbanistica, la possibilità di derogare alle distanze.

I vincoli della Consulta

A fronte di queste contestazioni, la Corte costituzionale, con la sentenza 41/2017, in linea con i principi già espressi con precedenti pronunce (178/2016; 231/2016), ha ritenuto che anche la legge veneta 4/2015 fosse costituzionalmente illegittima nella parte in cui consentiva che i Comuni, attraverso il proprio strumento urbanistico, introducessero deroghe alle disciplina statale in materia di distanze anche in caso di interventi puntuali e diretti, non inclusi in un piano di attuazione riferito ad un ampio contesto territoriale.

La Corte ha sottolineato che, poiché la disciplina delle distanze attiene in via primaria ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, non si può dubitare che la stessa rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato.

Gli spazi di deroga residui

Nondimeno, la Corte ha rilevato che, quando i fabbricati insistono su un territorio ampio con specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura è affidata anche alle Regioni perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio.

Alle Regioni è pertanto consentito fissare deroghe alle distanze stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio e, dunque, sempre che la stessa sia riferita ad una pluralità di fabbricati oggetto di una unitaria previsione planovolumetrica, non invece in caso di interventi su un singolo edificio.

Ebbene, alla luce di tale lettura, la portata innovativa dell’articolo 2-bis in materia di distanze viene sensibilmente “svuotata”, in quanto la derogabilità del Dm 1444/1968 torna ad essere, o quantomeno è molto simile a, quella già in origine prevista dal decreto stesso: l’ultimo periodo dell’articolo 9 del Dm 1444/1968 difatti stabilisce che «sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».

Se l’originario intento del legislatore era quello di consentire deroghe alle distanze anche in caso di interventi diretti su singoli edifici, subordinati al solo titolo abilitativo edilizio, l’obiettivo per ora è stato quindi mancato. Tenendo conto delle indicazioni della Consulta, il raggiungimento richiederebbe una norma nazionale e che, per garantire equilibrio tra gli interessi in gioco, indichi anche le condizioni che rendono ammissibile la deroga.

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