Lavori & Tecnologie

Con sanatorie e varianti vanno sempre rispettate le norme su barriere , incendi e infortunistica

di Jada C. Ferrero e Silvio Rezzonico

Qualsivoglia concessione edilizia - anche se rilasciata in sanatoria o in variante - deve necessariamente rispettare, tra le altre normative tecniche, le disposizioni in materia di prevenzione degli incendi, quelle infortunistiche e quelle legate alle barriere architettoniche.
Un principio-cardine appena riconfermato da una sentenza del Consiglio di Stato (n. 04629/2015 depositata lo scorso 5 ottobre) a conclusione di una causa relativa a un'autorimessa interrata di oltre 60 box, costruita in diritto di superficie alla fine degli anni 90, di pertinenza di un condominio.
A presentare ricorso, prima al Tar Piemonte e poi al Cds – che ha ribaltato l'orientamento del Tar – due fratelli, di cui uno disabile, entrambi proprietari di alloggi nell'edificio soprastante alla rimessa e di box pertinenziali, nonché soci della cooperativa che era stata appositamente costituita per realizzare i parcheggi pertinenziali in diritto di superficie, grazie a una convenzione.
L'autorimessa era stata costruita in forza di una concessione edilizia del 1998. Quattro anni dopo, otteneva “l'usabilità” dagli uffici comunali che successivamente, però, contestavano alcune opere difformi dal progetto: in particolare, che nella rampa pedonale di accesso – il classico scivolo affiancato al passo carraio – il servoscala era stato installato in modo inidoneo rispetto alla vigente normativa antincendio. A seguito della contestazione era allora stata presentata istanza per l'accertamento in sanatoria della conformità alle normative edilizie.
Il Comune, autorizzate le modifiche, rilasciava la concessione in sanatoria, sicché i due fratelli erano costretti a ricorrere al Tar per contestare l'illegittimità dei due provvedimenti - “usabilità” e sanatoria - e chiederne l'annullamento, restando però soccombenti.
La sentenza di primo grado è stata alla fine capovolta dal Cds i cui giudici hanno richiamato i tre passaggi normativi-chiave, decisivi per la definizione della controversia. Il decreto ministeriale n. 236 del 14 giugno 1989 che, nel fissare le prescrizioni tecniche necessarie a garantire la accessibilità degli edifici privati ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche, impone espressamente (art 4.6), raccordi con la normativa antincendio: “Qualsiasi soluzione progettuale per garantire la accessibilità o la visitabilità deve comunque prevedere specifici accorgimenti tecnici per contenere i rischi di incendio anche nei confronti di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale”.
Allo stesso modo, l'art. 80 del Testo Unico dell'Edilizia, nel disciplinare l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, dispone che l'esecuzione delle relative opere edilizie sia “realizzata in ogni caso nel rispetto delle norme antisismiche, di prevenzione degli incendi e degli infortuni”.
Infine, l'art. 5 del Dpr 37/1998 – che disciplina i procedimenti relativi alla prevenzione incendi – dispone espressamente che “ogni modifica delle strutture o degli impianti ovvero delle condizioni di esercizio dell'attività che comportano un'alterazione delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio, obbliga l'interessato ad avviare nuovamente le procedure previste”, per il rilascio del certificato prevenzione incendi.
Secondo il Consiglio di Stato, il servoscala, assentito in sanatoria dal Comune – in luogo della rampa d'accesso dell'originaria concessione – deve ritenersi in contrasto con i requisiti di legge. Ed infatti, il servoscala, “funzionando elettricamente, in caso di incendio rischierebbe di trasformare il parcheggio in una trappola mortale per un disabile”, considerato che “non ha corsia propria e non è in zona protetta; non solo non è dotato di porte antifumo, ma non ha la larghezza sufficiente per essere una via di fuga in contemporanea per i disabili e i non disabili” .

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©