Fisco

Ruderi vincolati, ristrutturazione senza demolizione

Il Consiglio di Stato ha impedito che un Comune delle Cinque Terre demolisse un rudere che il proprietario voleva ristrutturare

di Guglielmo Saporito

Prima applicazione del nuovo concetto di ristrutturazione edilizia (articolo 10 del Dl 76/2020, convertito dalla legge 120/2020), per le costruzioni crollate o in rovina che si possono ristrutturare. Il Consiglio di Stato (ordinanza 4492/2020) ha impedito infatti che un Comune delle Cinque Terre demolisse un rudere che il proprietario voleva ristrutturare.

Prima dell’entrata in vigore del Dl 76, si considerava nuova costruzione, soggetta a permessi di costruire (e a pareri della Sovrintendenza, se in zona vincolata) ogni intervento volto a ripristinare manufatti crollati, con muri di pochi metri e privi di tetto. Con una serie di norme del 2020, innovando il testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), il legislatore ha allargato le maglie della ristrutturazione, comprendendovi anche la demolizione e la ricostruzione. Nel contempo, si è consentita la modifica di sagoma, prospetti, sedime, planivolumetria e tipologia, con possibile aggiunta di impianti tecnologici e adeguamento antisismico. È stato superato anche l’ostacolo rappresentato dai problemi di distanze rispetto ai vicini, ammettendo la ricostruzione corrispondente allo stato iniziale. Si è poi ampliata la possibilità di dimostrare le dimensioni dell’edificio demolito o crollato (articolo 9 bis).

Tutte queste novità si spiegano quali ausili agli interventi con i contributi pubblici (bonus fino al 110%), in precedenza appunto ingabbiati nel rispetto di sagome, volumi e distanze preesistenti. L’ordinanza del Consiglio di Stato applica i principi della ristrutturazione comprensiva di ricostruzione, anche nelle zone vincolate, purché vi sia documentazione dello stato preesistente. Il problema è noto al legislatore, che per evitare eccessi, limita le ristrutturazioni attuabili con demolizione e ricostruzione nei centri storici e nelle zone tutelate. Se tuttavia non si vuole demolire, ma solo ricostruire sulla base di testimonianze relative al manufatto, le norme sull’edilizia diventano applicabili anche nelle zone di particolare pregio.

Con questa logica, nelle Cinque Terre, nella Costiera Amalfitana (Consiglio di Stato 5350/2020) e nei boschi dell’Alto Adige (Consiglio di Stato 5251/2020) si è discusso della possibilità di riutilizzare strutture dirute e ruderi, facendo leva su un’altra norma specifica (articolo 9 bis del Dpr 380) dove si elencano gli elementi significativi che dimostrano l’entità di una preesistenza. Tali elementi sono, per gli immobili realizzati in un’epoca in cui non era necessario un titolo abilitativo edilizio (in genere, settembre 1967), le informazioni catastali di primo impianto (inizio ’900). Poiché tuttavia le costruzioni oggi semi distrutte in boschi, campagne o coste non sono accatastate, si può oggi ricorrere ad una serie di altri elementi che l’articolo 9 bis definisce «probanti», quali «le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti di archivio o altro atto pubblico o privato di cui sia dimostrata la provenienza».

Sulla base di questi elementi, tutti gli edifici sconosciuti al Catasto ma significativi sotto l’aspetto estetico (oggetto di fotografie, paesaggi, quadri e forse anche poesie) riacquistano l’originaria consistenza, che permette loro di essere ricostruiti.

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