Fisco

Nessuna «quota occupanti» per i box dell’abitazione

di Pasquale Mirto

Le modalità di calcolo della tassa rifiuti dovrebbero essere identiche a livello nazionale, perché si basano sul metodo normalizzato, in vigore da quasi vent’anni. Tuttavia, vuoi i costi di trasporto e smaltimento, vuoi le scelte regolamentari locali, ogni Comune ha un livello di tassazione diverso dall’altro: alcune volte influenzato, anche pesantemente, da scelte di dubbia legittimità.

Sebbene l’entrata della Tari dovrebbe essere solo finalizzata alla copertura integrale dei costi del servizio, in realtà l’articolazione tariffaria è spesso influenzata anche da scelte politiche, prima fra tutte la suddivisione dei costi tra utenze domestiche e non domestiche, spesso non ancorata ai rifiuti prodotti da ciascuna categoria, ma alla volontà di non gravare sulle abitazioni (cosicché le imprese possono trovarsi a pagare i costi dei rifiuti prodotti dalle famiglie).

Il calcolo

Il metodo normalizzato prevede una tariffa fissa, da moltiplicare per i metri quadrati occupati, e una tariffa variabile, collegata al numero degli occupanti, che di solito coincidono con i componenti del nucleo familiare. Pertanto, se una famiglia di tre persone occupa 100 o 300 metri quadrati, la quota variabile è sempre la stessa: a cambiare è la sola quota fissa.

I regolamenti comunali possono disciplinare criteri specifici sia per il calcolo della superficie occupata, sia per il conteggio degli occupanti. Così, se la superficie imponibile è quella calpestabile, il regolamento può indicare come misurarla, prevedendo ad esempio delle riduzioni di superficie nel caso di sottotetti che non superino una certa altezza. E può stabilire riduzioni per i componenti del nucleo familiare che, pur residenti, dimorano abitualmente in altri Comuni, per studio o lavoro.

Le pertinenze

Le modalità di computo delle pertinenze (come i box auto) rappresentano una delle maggiori criticità, perché i Comuni hanno regolamentato soluzioni di calcolo spesso illegittime, chiedendo ai contribuenti più del dovuto; in alcuni casi molto di più, arrivando persino a triplicare la pretesa.

Il ministero delle Finanze ha chiarito che «la parte variabile va considerata una sola volta e, di conseguenza, un diverso modus operandi da parte dei comuni non trova alcun supporto normativo». In altri termini, in presenza di un’abitazione e di pertinenze autonomamente accatastate, la quota variabile è unica e la quota fissa sarà applicata alla somma dei metri quadrati occupati, incluse le pertinenze.

Alcuni Comuni, invece, considerano ogni unità immobiliare come una singola utenza, e dunque applicano la quota variabile autonomamente a ogni pertinenza, chiedendo molto più del dovuto. Per le stesse ragioni vanno considerate illegittime anche le altre variegate modalità di calcolo utilizzate da diverse amministrazioni, come quella di considerare le pertinenze autonome utenze fittiziamente occupate da un numero di persone predeterminato dal regolamento comunale.

llegittime sono anche le previsioni regolamentari che tassano le pertinenze sulla base delle tariffe previste per le utenze non domestiche, di norma facendo riferimento alla categoria delle «autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta». Qui l’illegittimità è doppia: perché si usano per le utenze domestiche le tariffe previste per le utenze non domestiche (che soggiacciono a modalità di calcolo diverse) e si addebita, anche in questo caso, una doppia parte variabile della tariffa (pur se non ancorata al numero degli occupanti).

Altra previsione illegittima è quella che limita il numero delle pertinenze. La regola generale prevede infatti che alle pertinenze si applica lo stesso regime fiscale previsto per il bene principale, se non è diversamente disposto, come nell’Imu. Ma per la tassa rifiuti non c’è alcuna deroga e il Comune non ha potestà regolamentare, perché qui si verte in tema di base imponibile, che è un campo precluso.

Pertanto, si ritiene che non siano legittimi quei regolamenti che vadano a definire le pertinenze Tari, prevedendo, ad esempio, un numero massimo (che di norma coincide con quello previsto per l’Imu).

Le seconde case

Anche per le seconde case è determinante quanto previsto dal regolamento comunale. La legge concede agli enti la possibilità di disporre delle riduzioni per le abitazioni a uso stagionale. Si tratta di una mera facoltà e la percentuale di riduzione è rimessa alla discrezionalità comunale.

A parte questi eventuali sconti, per le abitazioni a disposizione o turistiche, in cui non è possibile far riferimento al numero dei componenti della famiglia (al contrario delle utenze domestiche residenti) di solito i regolamenti comunali prevedono una presunzione circa il numero di persone che mediamente occupano l’abitazione, anche se diverso dai componenti del nucleo familiare del possessore.

Nei Comuni ad alta vocazione turistica il numero degli occupanti è direttamente collegato alla superficie dell’abitazione, con formule del tipo «un occupante ogni 20 mq». La possibilità per il Comune di disporre per via regolamentare queste presunzioni è stata ritenuta legittima da parte dei giudici di Cassazione.

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