Fisco

Cessione a ostacoli per i bonus fiscali dei condòmini

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

La manovrina potenzia la possibilità di cedere l’ecobonus e il sismabonus per gli interventi in condominio. Ma ci sono ancora limiti che ne frenano il decollo.

Per capire il perché, bisogna partire dalla legge di Stabilità 2016, che per prima ha consentito ai contribuenti a basso reddito (gli incapienti) di cedere l’ecobonus al 65% ai fornitori del condominio.

Il meccanismo è semplice: chi dichiara un reddito così basso da avere un’Irpef inferiore alla detrazione, può trasferire il bonus all’impresa incaricata dei lavori, in cambio di uno sconto sul prezzo.

L’attuazione, però, è stata molto complessa. Inanzitutto, l’incapienza deve verificarsi nell’anno d’imposta precedente a quello in cui si pagano le spese per i lavori. E quindi, qualcuno potrebbe non avere la certezza di essere incapiente quando si decide l’intervento o, addirittura, quando si inizia a pagare il «fondo lavori», se non ha ancora presentato la dichiarazione dei redditi. Inoltre, la volontà di cedere il credito deve emergere dalla delibera o da una comunicazione successiva da parte del singolo condomino, con l’obbligo per l’amministratore di inoltrarla al fornitore, tenuto a sua volta ad accettare per iscritto.

È chiaro che questo iter non poteva funzionare, se non in casi rarissimi.

La legge di Bilancio 2017 ha prolungato di 12 mesi questa chance (poco appetibile) e ha introdotto nuove possibilità di cessione (più interessanti) per l’ecobonus potenziato al 70 o 75% e il sismabonus al 75 o 85%, entrambi applicabili fino al 2021.

Tra coloro a cui possono essere cedute le detrazioni extra large sono spuntati anche «altri soggetti privati» diversi dai fornitori (si pensi al figlio del pensionato o al vicino di casa). Inoltre, si prevede la possibilità che il cessionario, a sua volta, trasferisca ad altri il credito d’imposta, in tutto o in parte. Ma, soprattutto, si consente a tutti i beneficiari, e non solo agli incapienti, di cedere il bonus.

Si tratta di un passaggio chiave per rendere il credito fiscale una leva capace di incentivare la riqualificazione degli edifici: perché un intero condominio può “mettere sul mercato” il bonus, alla ricerca della miglior offerta. Si pensi a un intervento da 100mila euro che dà diritto a uno sconto fiscale di 70mila da recuperare in dieci anni: a seconda delle offerte raccolte, il condominio potrebbe avviare i lavori con un esborso di 40 o 50mila euro.

Il restyling non ha però risolto tutti i problemi:

i lavori agevolati dall’ecobonus e sismabonus potenziati sono i più complessi e i meno frequenti (come il cappotto termico su almeno il 25% dell’involucro, si veda il grafico );

le imprese hanno esigenze di liquidità che impediscono loro di finanziare più di un certo numero di condomìni.

Ecco dunque il doppio intervento della manovrina (Dl 50/2017):

consente fino al 2021 agli incapienti di cedere il 65%, cioè il bonus di utilizzo più comune;

non menziona più il divieto per gli incapienti di cedere anche alle banche i propri crediti fiscali (al 65, 70 o 75%).

È la vera soluzione? L’impressione è che sia una svolta positiva, ma non risolutiva.

Quando si faranno lavori con il 65% (ad esempio il cambio della caldaia) saranno solo gli incapienti a potersi far finanziare dalla banca, mentre gli altri non potranno cedere il credito a nessuno. Così chi non vorrà spendere voterà no e spesso bloccherà le opere.

Invece, nei rari casi in cui si faranno interventi al 70 o 75%, tutti i beneficiari (compresi eventuali soggetti Ires) potranno cedere il credito a fornitori e privati, ma solo gli incapienti Irpef potranno trasferirlo alle banche. Quindi serviranno analisi ad hoc e non ci si potrà far finanziare i lavori solo sulla base del preventivo e della delibera. A meno di non vivere in un condominio dove tutti sono incapienti, ma allora – forse – non ci si lancerà in cantieri così ambiziosi.

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