Fisco

I nuovi valori catastali a rischio di aumento tasse

di Saverio Fossati

Se la riesumazione della delega fiscale consisterà nella riproposizione del testo della bozza di decreto legislativo del 2014-2015 si riproporranno, nel bene e nel male, le stesse questioni. La prima, che turba i sonni di tutti i proprietari immobiliari d’Italia, è la variazione dei valori catastali: di fatto partiranno da quelli di mercato rilevati dall’Omi, ai quali verrà applicato un algoritmo che porterà a definire le nuove rendite e i nuovi valori catastali e la cui lavorazione, da parte dei tecnici dell’ex agenzia del Territorio, ora in forze alle Entrate, era stata già quasi ultimata anche se non era mai stato approvato il decreto sulle «funzioni statistiche».

La chiave dell’algoritmo sarà quindi saldamente nelle mani dell’Agenzia ma ci sono fattori importanti che dovrebbero rendere le «funzioni statistiche» degli strumenti di equità: per ogni «microzona» e per ogni tipologia immobiliare (abitazioni, negozi, eccetera) bisognerà infatti individuare il «valore medio di mercato».
A questo si applicheranno coefficienti che terranno conto, tra l’altro, di ubicazione, epoca di costruzione e grado di finitura. I coefficienti funzioneranno sulla base, appunto, di un algoritmo che definirà il valore unitario del metro quadrato. E le 103 commissioni censuarie locali (non entrate ancora ufficialmente in funzione anche se tutti i decreti attuativi ci sono già) saranno chiamate a validare queste funzioni statistiche.

La fase conclusiva dell’iter sarà l’attribuzione del valore patrimoniale medio stabilito, attraverso gli algoritmi, sulla base del valore di mercato e la nuova rendita che – sempre attraverso le funzioni statistiche – sarà ancorata al valore locativo. E a questo punto un lustro sarà passato.

Chi volesse contestare gli importi attribuiti potrà farlo in autotutela (questo sarà oggetto del terzo decreto legislativo) verosimilmente presso gli uffici delle Entrate o presentare un ricorso vero e proprio al giudice tributario. Mentre la competenza del Tar sarà limitata alle sole questioni di legittimità.

Ma il nodo è quello dell’invarianza di gettito: è chiaro che la base di partenza, cioè i valori di mercato, elimineranno in buona parte quelle sperequazioni. Per esempio, non dovrebbe più accadere che un appartamento nel centro di Roma abbia una rendita assai inferiore di uno in estrema periferia, solo perché nel 1939 gli è stata attribuita una categoria catastale ormai senza alcuna rispondenza reale. Ma la conseguenza di questa grande revisione è che i valori e le rendite catastali aumenteranno a dismisura. Quindi (questo è il timore espresso immediatamente dalle associazioni della proprietà immobiliare), chi garantisce che i Comuni, una volta in possesso delle nuove basi imponibili, non le avrebbero usate come una fisarmonica per gonfiare l’Imu?

Proviamo a fare qualche esempio. Partiamo da un immobile tipo di 91 metri quadrati, corrispondenti mediamentea 5 vani catastali, attualmente inseriti nella categoria catastale A3, classe media-alta, in buono stato, edificati meno di 20 anni fa e localizzati nel semicentro cittadino. Il nuovo valore patrimoniale è calcolato nell’ipotesi che gli estimi catastali saranno allineati al 100%del valore di mercato. Questo valore è stato desunto dalle quotazioni dell’Osservatorio sul mercato immobiliare dell’agenzia delle Entrate (Omi). La nuova rendita catastale è calcolata utilizzando il valore locativo Omi detraendo il 35% per spese conservazione, manutenzione, amministrazione, eccetera, a carico della proprietà. Ebbene, a Bari si registrerebbe un incremente del «valore catastale» (cioè la base imponibile anche ai fini Imu) del 10%, a Bologna del 78%, a Cagliari del 182%, a Firenze del 75%, a Genova del 126%, a Roma del 92%, a Milano del 95%, a Napoli del 117%, a Torino del 70%.

Di fronte a questi valori sembra legittimo avere qualche dubbio sul principio dell’invarianza di gettito, pur sancito nel decreto legislativo.
Ma sull’ipotesi che si ricominci a parlare di riforma del catasto Confedilizia ha subito espresso molte peplessità: «Leggiamo sulla stampa - si legge nel comunicato di Confedilizia - che il Governo Gentiloni starebbe pensando di riesumare quella riforma del catasto che il Governo Renzi aveva ritirato, nel giugno del 2015, perché non forniva adeguate garanzie di invarianza di gettito, aprendo all'opposto uno scenario di ulteriori aumenti di tassazione sugli immobili, mascherati attraverso improbabili “redistribuzioni”. Quella legge delega è scaduta e non è certo questo il momento per iniziare un nuovo percorso, checché ne dica la Commissione europea, che inserisce pigramente il tema catasto nelle sue rituali raccomandazioni “copia e incolla”, senza avere un minimo contatto con la realtà. Per il settore immobiliare l'urgenza non è la riforma del catasto, ma una decisa riduzione di un carico fiscale che dal 2012 è stato quasi triplicato e che continua a causare danni incalcolabili a tutta l'economia: crollo dei valori, impoverimento, caduta dei consumi, desertificazione commerciale, chiusura di imprese, perdita di posti di lavoro. Dovrebbe essere questa la priorità di un Governo responsabile».

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